lunedì 7 febbraio 2011

Il posticipo: Cagliari-Juventus (Puntonate a Villa Torlonia, o il raddoppio dei pomeriggi)




Il raddoppio dei pomeriggi sembrò ai più la soluzione migliore. Si trattava di compensare, seppur con troppi anni di ritardo, l’uccisone di quella parte di giorno creata per sviluppare il talento individuale, o la passione preferita. E così, dopo il mattino trascorso al lavoro, il pomeriggio trascorso al lavoro, il secondo pomeriggio sarebbe stato dedicato a leggere finalmente con calma, in alcuni casi addirittura a scrivere, oppure a giocare a calcio al parco durante la bella stagione, a guardare un film nei mesi più freddi, oppure Rai Storia.
Guardare la storia, non era forse il modo più bello per ripercorrerla o scoprirla, comodamente seduti sul divano, eppure trasportati nel mondo con l’affascinante possibilità di vivere epoche lontane e differenti?

Nei giardini di Villa Torlonia, Benito Mussolini colpiva il pallone di punta, senza stile, come un bambino sovrappeso e goffo. Era il tentativo di cavalcare mediaticamente i successi della grande Italia di Vittorio Pozzo dimostrandosi abile pedatore, sotto lo sguardo divertito di Galeazzo Ciano e delle cineprese dei cinegiornali. Ma le sue erano puntonate inutili, dannose e imprecise per i compagni di squadra che tuttavia, anche di fronte a certe svirgolate clamorose del capo del fascismo, erano pronti ad ammettere di non essere scattati abbastanza, di non aver capito il suggerimento.
“Scusa Ben, colpa mia!”.

Qui non si vuole giudicare il Duce dittatore, ma il Mussolini calciatore, e da questo punto di vista mi sento libero di affermare che Benito non aveva talento, forse perché anche a lui mancava tremendamente un secondo pomeriggio, da passare a fare palleggi contro un muro per migliorare la propria tecnica individuale. Per chi volesse invece conoscere Mussolini sotto altri aspetti, consiglio la lettura di Muss. Ritratto di un dittatore, saggio atipico di Curzio Malaparte a metà strada tra biografia e racconto aneddotico. Un lavoro breve del grande scrittore di Prato, fondamentale pure per raccogliere essenziali informazioni sul popolo italiano.

Detto questo, per non rischiare il licenziamento come inviato di Quasi Rete, ho schiacciato Est con il telecomando per ritrovarmi al Sant’Elia di Cagliari, non prima di aver annusato e morso dell’ottimo pecorino sardo. Con piacere e dopo molto tempo, ho notato che la Juventus si era dotata di un centravanti. Il suo nome era Alessandro Matri, aveva il numero 32, e se nella partita precedente aveva sbagliato un goal fatto, era stato sfortunato in una seconda occasione, ed era incappato come tutta la Juventus in un arbitro in malafede che gli aveva negato personalmente uno dei tre rigori non assegnati alla squadra di Del Neri (si noti, a proposito, la spiegazione della malafede come “carattere predominante del popolo italiano” a pagina 67-68 del Muss. di Malaparte), nella serata di sabato si era presentato ancora con un tiro sbagliato, solo davanti al portiere. Però, probabilmente voleva dire che Matri almeno “c’era”. Sarebbe stata solo una questione di tempo, perché Alessandro pareva conoscere l’intuizione di trovarsi al posto giusto nel momento giusto, chissà se imparata in uno dei pomeriggi raddoppiati di quando era ragazzino.