martedì 1 febbraio 2011

Il posticipo: Inter-Palermo (Revolutionary Pazzini)


Conosco decine di scrittori che sarebbero disposti a vendere la madre per scrivere il romanzo perfetto, altri ai quali il sacrificio materno dispiacerebbe relativamente, se ricompensato da un posto nella classifica dei libri più venduti. Per quanto mi riguarda, la perfezione altrui quasi mi commuove, ma anziché invidiarla l’ammiro, anche perché di vendere mia madre proprio non se ne parla. Resto stupito, mi sfrego le mani oppure faccio un respiro profondo, ad esempio quando ricordo la bellezza di un romanzo come Revolutionary Road, di Richard Yates.

E se, consapevole dei miei limiti, desidero qualcosa, è che la fortuna o l’ispirazione mi porti un giorno a scrivere almeno una pagina della quale essere completamente soddisfatto, se non addirittura fiero. Oppure un finale magistrale e splendente, come questo:
“Ma da questo punto in poi Howard Givins udì soltanto un tonante, piacevole mare di silenzio. Aveva spento l’apparecchio acustico”.

E’ con questo spegnimento che si conclude Revolutionary Road, un movimento verso lo zero uditivo esercitato dal vecchio Givins, stufo di ascoltare le noiose e pettegole valutazioni della moglie riguardo ai coniugi Wheeler. Un azzeramento linguistico, una sorta di “non esserci più” bianciardiano nel quale mi riconosco quando, ogni mattina, passo sei ore nella teca in vetro della cassa numero 7. Entro nella mia capsula trasparente, e penso al signor Givins, e al fatto che se essere sordi rappresenta senza dubbio uno svantaggio, il poter non ascoltare invece decisamente no. Quindi ruoto il volume del mio apparecchio fino al nulla, e mi concedo alla vista dei clienti in coda: italiani dallo sguardo rabbioso e insofferente nei confronti di chi li precede o segue o del cassiere-scrittore, assorti in una cattiveria individualista che rende plausibile l’idea che l’unificazione d’Italia sia stata frutto del caso.

Mai avrei pensato però, di essere costretto a difendermi con l’autoprocurata sordità anche domenica sera, unico espediente per non sentire alcune frasi dell’amministratore delegato della Juventus, che lo facevano sembrare sempre amministratore delegato ma della Sambenedettese.

Poi per fortuna, mi sono ricordato di una bella partita vista nel pomeriggio, giocata con coraggio e classe dalle due squadre in campo. Sotto 0-2, Leonardo ha dato un’occhiata alla sua ricca panchina:
“Pazzo, tocca a te.”
Nessuna risposta.
Anche Giampaolo aveva staccato l’apparecchio acustico.
Avvisato con un colpo sulla spalla da un compagno, ecco Pazzini riscaldarsi lungo la linea del fallo laterale, togliersi la tuta, mostrando a tutti il numero 7 fiammante.

Due goal, un rigore procurato: Inter 3, Palermo 2. Il neoacquisto nerazzurro non avrebbe potuto immaginare un esordio migliore nello stadio di Meazza, un Marassi moltiplicato per due e mezzo. Un diagonale rasoterra di destro tirato fuori dal niente spalle alla porta, una frustata di testa su cross di Maicon, eseguita con una felina rapidità da lasciare sgomenta la difesa del Palermo. E poi la consueta esultanza con il gesto delle due dita a indicare gli occhi, come a dire:
“Avete visto?”
Sì, anche se non stavo ascoltando.