lunedì 21 febbraio 2011

Il posticipo: Inter-Cagliari (La fuga del signor Maicon)

Quando Paolo mi ha detto di avere un biglietto in più per andare a vedere l’Inter, ho pensato che non rappresentasse una coincidenza il fatto che io, da qualche giorno, stessi leggendo La fuga del signor Monde, romanzo del 1945 di Georges Simenon. E casualità non era nemmeno la visione di un’intervista del 1963 allo scrittore belga che, sempre negli stessi precedenti giorni, mi era capitato d’intercettare sulla Rai. Se a questi due indizi aggiungiamo i dubbi che Paolo già più volte mi aveva espresso in merito all’altalenante rendimento stagionale di Maicon Douglas Sisenando, terzino della sua squadra del cuore, sono arrivato alla prova che dovevo superare: l’unico modo di sdebitarmi con l’amico che, per la prima volta in vita, mi consentiva di guardare una partita al Meazza dalla postazione privilegiata del primo anello arancio, sarebbe stato quello di trovare una spiegazione convincente alla flessione temporale nel numero 13 interista.

Il romanzo di Simenon è la storia della scomparsa di Norbert Monde, in una fredda mattina d’inverno, mentre il suo autista lo portava come ogni giorno da trent’anni, alla ditta di import-export fondata da suo nonno. La partenza dalla stazione parigina di Gare de Lyon in direzione Marsiglia, spinto dalla voglia di vedere il mare, una fuga naturale perché sognata da tempo, e scattata chissà perché proprio quel giorno. Forse perché era quello del suo compleanno. Forse perché quel mattino, fissandosi allo specchio, si era visto per la prima volta con i propri occhi, e non con quelli indifferenti degli altri.

Sul tram numero 16 con Paolo e Simenon, l’inventore della Fuite de Monsieur Monde ci raccontava la sua storia di scrittore prolifico e poliedrico, il suo metodo di lavoro (che prevedeva sempre una prima stesura in matita con minuscola calligrafia, in ordinati quaderni poi da battere a macchina). Il suo trucco per scegliere i nomi dei personaggi dalla guida telefonica, fino a quando qualche vivo non si era sentito chiamato in causa, illudendosi con vanità o preoccupazione di essere personaggio. Ed il suo primo incontro con André Gide il quale, dopo averlo fatto accomodare in una stanza dall’editore Gallimard, aveva chiuso la porta a chiave, invitandolo a sedersi. Impaurito, Georges Simenon aveva subito l’interrogatorio dell’autore de I sotterranei del Vaticano, a cominciare dalla domanda:
“Simenon, a che età lei è diventato il suo personaggio?”
Con Georges prima incapace di capire il senso del quesito e se il medesimo era diretto a lui o al Commissario Maigret. Poi costretto a rispondere che lui, in realtà, non si era mai sentito il personaggio di se stesso, ma solamente Georges Simenon.

Varcati i tornelli, io e Paolo senza difficoltà, Simenon scrutato con sospetto da alcuni steward a causa della sua pipa, interpretata erroneamente come possibile arma di lancio, dopo il fischio d’inizio abbiamo potuto guardare i calciatori sul terreno di gioco a pochi metri da noi, sentendo il rumore dei contrasti, osservando l’affascinante sospensione aerea di certi stacchi per colpire di testa. Lo stadio verticale, meraviglioso nella sua rumorosa bellezza, pareva imprigionare i ventidue in campo, proponendo come risultante una partita non bella, decisa da un goal di Ranocchia in fuorigioco.

Lungo la fascia, lo svogliato Maicon più che correre camminava veloce, come lasciando aperto solo uno spiraglio dalla porta del suo potente e luminoso talento. Quando un’azione che lo riguardava terminava male, compiva il gesto del pugno contro l’altra mano aperta, come a dire: “Che peccato”. Oppure, più credibilmente: “Ma vaffanculo”.
Poi rientrava in difesa, velocemente moderato, chiedendo ad un ignaro capitan Zanetti:
“Javier, perché proprio quel giorno?”
“Cosa??”
“Sì capitano, tu lo sai? La fuga del signor Monde, perché proprio quel giorno?”