Il poeta Valerio Magrelli non potrà mai perdonare al padre di avergli fatto indossare una tenuta della A. S. Roma Calcio solo per fotografarlo, in riva al mare, a sette anni, nel primo pomeriggio di una domenica invernale degli anni sessanta. L’immagine più triste, sciagure a parte, che l’autore di Addio al calcio conserva nella sua memoria.
“Cosa ci fa infatti un bambino solo, e in perfetta tenuta sportiva, sulla spiaggia a gennaio?”
Magrelli ha deciso di ritirarsi dal calcio giocato a quarant’anni, al termine di una partita contro ragazzi più giovani. Addirittura dopo un’azione pregevole che l’aveva visto tagliare la difesa come il burro, saltare i terzini come in sogno. Già, ma perché tutti si scansavano, anzi, lo evitavano. Una gentilezza squisita, sottolinea il poeta, ma piuttosto umiliante. Come la richiesta di un compagno al momento di battere una punizione:
“Coraggio, tiri lei…”
Del Lei, in un campo da calcio!
Quella fu l’ultima partita di Valerio Magrelli.
Conoscevo bene i motivi intimi dell’irrevocabile decisione di Valerio, per questo mi sono stupito quando Claudio Ranieri l’ha fatto entrare sul terreno di gioco del “Rigamonti”, per giunta senza riscaldamento, pochi secondi dopo l’espulsione di Mexes.
Il difensore francese stava ancora terminando la sua scenata isterica, degna di una moglie tradita, quando l’allenatore del Testaccio, anglo-romano esemplare nel suo tentativo di apparire calmo circondato dalla consueta caciara nervo-giallorossa, ha guardato il fondo buio della panchina per ordinare all’ultima delle riserve, peraltro assorta nella lettura di Paul Valéry:
“Valerio, tocca a te!”
Sotto il cartellino rosso, Mexes avrebbe voluto mangiarsi l’arbitro. Vene tatuate del collo in rilievo, rossore diffuso a fare da contrasto alla chioma bionda, Philippe ha poi virato verso il guardalinee che ingenuamente si era avvicinato all’area di rigore. Attimi di testa a testa con il pallido e magro sbandieratore, poi via, cinque-sei compagni che cercano di trattenere il difensore francese, farlo rientrare di testa, ma niente. Pippo allora corre verso il tunnel, e appena varcata la linea laterale sferra un calcione alla base gommata di una postazione Sky, rischiando di far venire un infarto all’operatore di telecamera, o di farlo ribaltare.
Sotto di due gol dopo il rigore realizzato da Caracciolo, Magrelli ha fatto quello che ha potuto, dando ordine ad una squadra volenterosa, ma confusa. Il Brescia, magistralmente schierato da Beppe Iachini con dieci uomini sempre dietro la linea della palla durante la fase difensiva (da lodare il sacrificio in copertura dei talentuosi Diamanti ed Eder) ha sofferto nei minuti finali per contenere gli assalti di una Roma riportata in vita dal gol di Borriello, l’ultimo ad alzare bandiera bianca dei suoi.
Perparim Hetemaj, giovane centrocampista finlandese di origine kosovare, autore del primo gol in serie A e tra i migliori in campo, ha stretto la mano al poeta romanista sconfitto, ma non umiliato.
Magrelli è stato l’ultimo ad abbandonare il terreno di gioco.
Scendendo le scale che portano agli spogliatoi, si è ricordato della pagina che, nel suo ultimo libro, ha dedicato a questi luoghi comuni di esaltazione e abbattimento, silenzio e vapori. Gli spogliatoi, nel calcio e nello sport in genere, gli fanno pensare ai gabbiani in poesia: non se ne può più, e se ne vorrebbe ancora.