(Savio per Quasi Rete Gazzetta dello Sport)
Conosco professori che si lamentano della durezza del loro lavoro, della scuola che va in pezzi, delle motivazioni che non ci sono più. Io li ho sempre invidiati per i due mesi di vacanza in estate, che si aggiungono alla settimana natalizia, a quella pasquale. La maggioranza degli umani su 12 mesi ne lavora 11, io purtroppo non faccio eccezione, e francamente mi sembra assurdo. Ma pazienza. A causa di questa sorprendente ingiustizia però, in luglio mi trovo a Milano a crepare di afa, a sentire il calore che sale dal cemento e ad esultare quando mia moglie mi propone di andare alla Coop per fare la spesa. Là almeno c’è l’aria condizionata. Da quando l’Italia è uscita dal Mondiale ho però un sussulto di dignità quando mi avvicino al banco dei latticini. Evito di spiare dentro le confezioni di Actimel quale sia il nome del calciatore raffigurato sulla calamita da attaccare al frigorifero. All’inizio mi ero dato da fare per scovare i miei preferiti: Del Piero, Pirlo, Buffon, Marchisio…Adesso compro gli yogurt a caso, restando indifferente se mi capita Gamberini.
Da appassionato di calcio mi riesce sempre difficile spiegare a certi tifosi italici del pallone che i Mondiali sono un’altra cosa (meravigliosa) rispetto al campionato. E’ una battaglia persa. Il tifoso della sua squadra ha occhi (bendati) solo per lei, non sostiene l’Italia se l’allenatore ha un passato importante in una fazione avversa (salvo trovarsi in strada a sbandierare tricolori il 9 luglio 2006). Quest’anno è già soddisfatto delle tre vittorie che ha ottenuto, dei Mondiali non gliene frega niente, tornerà a gridare cori in settembre. Non guarderà la finale per il terzo e quarto posto, che senso ha? Cosa si vince? Che differenza fa arrivare terzi o quarti?
Dopo un bicchiere di Brut della Franciacorta ho visto una partita splendida, e non credo a causa della leggera ebbrezza. Uruguay e Germania mi hanno riempito gli occhi di calcio vero, spazzando via i pochi secondi di fastidio che avevo provato leggendo sul giornale di un Moratti furioso, squalificato per soli tre mesi dalla Commissione disciplinare della Federcalcio (quando rischiava molto di più) e nonostante questo indignato, sempre agnello innocente in un mondo di lupi, pronto ad andarsene, a lasciare tutto ma poi no, come nella primavera del 2006 quando aveva proprio deciso di mollare l’Inter e tornare a fare il petroliere a tempo pieno ma poi invece era sorprendentemente scoppiata calciopoli.
Ma ecco, la smorfia di Lugano a fine partita è il calcio che amo, quello che si ferma sul campo di gioco. La botta di Schweinsteiger da trenta metri e l’intelligenza di Mueller nel decidere di scattare verso la porta per raccogliere un’eventuale respinta. L’infantile Muslera che torna per una partita quello degli esordi laziali e sbaglia parata restituendo al miglior giovane della manifestazione il pallone proprio dove voleva. Il perfetto contropiede celeste che porta Cavani a segnare il gol del pari. Quindi lo spettacolare tiro al volo di un grande Diego Forlan: 2-1 per l’Uruguay. Il nuovo pareggio di Jansen, su uscita completamente a vuoto di Muslera. Il 3-2 messo a segno di testa da Khedira, uno dei tanti talenti della bella squadra di Joaquim Loew. E all’ultimo secondo, l’incrocio dei pali colpito da Forlan su punizione. E’ finita, Germania e Uruguay lasciano il Sudafrica tra gli applausi degli appassionati di calcio, quelli che non si perdono mai la finale per il terzo e quarto posto.
Da appassionato di calcio mi riesce sempre difficile spiegare a certi tifosi italici del pallone che i Mondiali sono un’altra cosa (meravigliosa) rispetto al campionato. E’ una battaglia persa. Il tifoso della sua squadra ha occhi (bendati) solo per lei, non sostiene l’Italia se l’allenatore ha un passato importante in una fazione avversa (salvo trovarsi in strada a sbandierare tricolori il 9 luglio 2006). Quest’anno è già soddisfatto delle tre vittorie che ha ottenuto, dei Mondiali non gliene frega niente, tornerà a gridare cori in settembre. Non guarderà la finale per il terzo e quarto posto, che senso ha? Cosa si vince? Che differenza fa arrivare terzi o quarti?
Dopo un bicchiere di Brut della Franciacorta ho visto una partita splendida, e non credo a causa della leggera ebbrezza. Uruguay e Germania mi hanno riempito gli occhi di calcio vero, spazzando via i pochi secondi di fastidio che avevo provato leggendo sul giornale di un Moratti furioso, squalificato per soli tre mesi dalla Commissione disciplinare della Federcalcio (quando rischiava molto di più) e nonostante questo indignato, sempre agnello innocente in un mondo di lupi, pronto ad andarsene, a lasciare tutto ma poi no, come nella primavera del 2006 quando aveva proprio deciso di mollare l’Inter e tornare a fare il petroliere a tempo pieno ma poi invece era sorprendentemente scoppiata calciopoli.
Ma ecco, la smorfia di Lugano a fine partita è il calcio che amo, quello che si ferma sul campo di gioco. La botta di Schweinsteiger da trenta metri e l’intelligenza di Mueller nel decidere di scattare verso la porta per raccogliere un’eventuale respinta. L’infantile Muslera che torna per una partita quello degli esordi laziali e sbaglia parata restituendo al miglior giovane della manifestazione il pallone proprio dove voleva. Il perfetto contropiede celeste che porta Cavani a segnare il gol del pari. Quindi lo spettacolare tiro al volo di un grande Diego Forlan: 2-1 per l’Uruguay. Il nuovo pareggio di Jansen, su uscita completamente a vuoto di Muslera. Il 3-2 messo a segno di testa da Khedira, uno dei tanti talenti della bella squadra di Joaquim Loew. E all’ultimo secondo, l’incrocio dei pali colpito da Forlan su punizione. E’ finita, Germania e Uruguay lasciano il Sudafrica tra gli applausi degli appassionati di calcio, quelli che non si perdono mai la finale per il terzo e quarto posto.