lunedì 14 luglio 2014

Maracanazo. Germania-Argentina: Nastassja Kinski e Johann Wolfgang Goetze.


Milano - Ricordo che ero molto giovane e guardavo i film di Wim Wenders chiuso in camera da solo, astioso nei confronti di chiunque avesse l’idea di disturbarmi, mia madre un amico una corteggiatrice il telefono fisso, non possedevo ancora il cellulare. Falso movimento in particolare, il ragazzo biondo che procede lungo una stradina di campagna così almeno mi pare, alla ricerca della sua vocazione artistica, pellicola sceneggiata da Peter Handke liberamente tratta dal romanzo Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister di Johann Wolfgang von Goethe, avevo scritto anche una poesia intitolandola con influenze germaniche appunto Falsche Bewegung. Certe ragazze innamorate suonavano il campanello, io rispondevo al citofono:
“Ma per favore, sto guardando i film di Wim Wenders chiuso in camera da solo, passa più tardi o meglio non farti più vedere.”
Loro non se ne facevano una ragione e insistevano a suonare con il dito appiccicato al pulsante. Del resto in quel tempo m’innamoravo di tutto, m’innamorava di altre, di Nastassja Kinski incontrata sul treno con la frangia quasi fino dentro agli occhi, leggeva un libro con il ragazzo biondo la figlia dell’attore Klaus, non vorrei sbagliarmi ma si trattava della Vita di un perdigiorno di  Joseph Freiherr von Eichendorff, anche tra i miei romanzi preferiti di allora, e non poteva certo trattarsi di un caso Nastassja.
Invece troppi anni dopo, una sera di metà luglio Germania contro Argentina per diventare campioni del mondo in diretta da Rio de Janeiro, Wim Wenders aveva imboccato da tempo la strada del declino creativo ma buon per lui viveva di rendita tra Berlino e New York mentre io faticavo ad arrivare alla fine del mese, inquadravano le tribune e l’infantile bellezza della Kinski era stata sostituita dalla sgradevole e sgraziata Angela Merkel in giacchetta rossa con le braccia corte, peccato, poi in campo la finale non era scontata come la maggioranza dei pronostici aveva cercato di prevedere. Anzi Gonzalo Higuain al ventunesimo, a causa dell’imprevisto e maldestro assist di testa dell’avversario Kroos, si trovava al limite dell’area solo davanti a Neuer, ma calciava in modo ignobile schiacciando il tiro d’interno destro con il pallone che rantolava qualche metro distante dal palo. Dieci minuti dopo, ancora l’attaccante del Napoli mostrava le stigmate dell’uomo non scelto dal destino, esultando incontenibile per qualche secondo in seguito a una rete realizzata tuttavia in fuorigioco. I tedeschi reagivano e concludevo la prima frazione con un paio di chance, la più clamorosa un palo colpito di testa da Howedes sugli sviluppi di un calcio d’angolo. Leo Messi intanto si metteva a vomitare, probabilmente stufo dei noiosi commenti di chi non perdeva azione o movimento per confrontarlo con Maradona, si andava al riposo e al risbucare delle squadre in campo il tranquillo ma sofferente Sabella sostituiva Lavezzi con il baricentro basso Aguero. Messi sfiorava il goal con un bel diagonale, Neuer cercava di decapitare Higuain con un’uscita kamikaze non venendo sanzionato, si andava ai supplementari e Schurrle aveva un’occasione, Palacio quella della vita ma stoppava male un pallone proveniente dalla sinistra per poi stortare un tentativo di pallonetto. Calci di rigore? No, perché a sette dalla fine il paffutello Mario Goetze, entrato da un quarto d’ora al posto del buon vecchio Miro Klose, seguiva un’accelerazione del butterato Schurrle sulla fascia facendosi trovare puntuale allo spiovente che giungeva all’altezza del vertice dell’area di porta. Johann Wolfgang Goetze stoppava geometricamente il pallone sul morbido petto prima di direzionarlo in girata al volo nell’angolo opposto, con una linea collinare letale per tutta la nazione argentina. La Germania era campione del mondo per la quarta volta nella sua storia e mentre i commentatori impiegati nostrani si affrettavano a giudicare, sentenziare, banalizzare, Leo Messi guardava il vuoto, non vomitava solo per educazione, vinceva il premio come miglior giocatore del Mondiale brasiliano, posava assente per le fotografie, aspettava i compagni distrutti per indossare senza voglia la medaglia d’argento, si faceva abbracciare dal picchiato e sanguinante sotto l’occhio Schweinsteiger. Io spegnevo il televisore con leggero rammarico, altri quattro anni erano passati e ne avrei dovuti attendere altri quattro, era la mezzanotte italiana del tredici luglio duemilaquattordici, Nastassja Kinski non avrebbe suonato alla mia porta.