martedì 15 novembre 2011

L'intervista del secolo

Oggi sul Secolo d'Italia Roberto Alfatti Appetiti parla di "Anticipi, posticipi".








Qui sotto invece la mia intervista completa (ovvero l'intervista del secolo):



Come si sono trovati Savio il romantico e Gurrado lo storico, cosa vi unisce e cosa vi divide?

Chiedo scusa, ma fatico a ricordare. Qualcuno, forse Luciano Moggi o il comune amico scrittore Livio Romano, mi segnalò il talento di Gurrado. Andai a controllare. Dai suoi scritti traspariva una forza controllata, uno stile, che non mi lasciò indifferente. Mi univa a lui qualcosa, lo sentivo, come nati per caso distanti (lui a Bari, io a Brescia) ma in fondo simili. Lo storico e il romantico, vero, ma la distinzione non è così netta. Io passo molto tempo guardando Rai Storia, ad esempio, e mi risulta che Gurrado ne trascorra altrettanto seguendo le trasmissioni di Rai Romantica. Eppure, devo ammetterlo, non posso negare di essere romantico. Non esistono più gli uomini di una volta, si dice, e onestamente penso di essere uno dei pochi che va ancora allo stadio con un mazzo di fiori.

Mi divide da Antonio la scelta della squadra del cuore: lui del Milan, io della Juventus. Ma non essendo tifosi nel senso peggiore del termine, è più che altro una distinzione di righe verticali da abbinare al nero. Rosse nel suo caso, bianche nel mio. Mi unisce a Gurrado un certo modo di vedere il calcio, direi sospeso tra quello che accade in campo, dentro la Tv, e ciò che succede invece in alcuni libri che amiamo.


Com'è nata l'idea del libro?

Grazie ai Mondiali del 2010. Al desiderio non realizzato di essere inviati da qualche testata giornalistica coraggiosa in Sudafrica, per commentare le partite del Campionato del Mondo. Abbiamo trovato comunque la maniera di farlo, altrove rispetto a dove avremmo voluto essere: Milano, Parigi, Gravina di Puglia, Brescia. Dai Mondiali siamo poi passati alla Serie A. In un calcio ormai spezzatino, vergognosamente privo di polenta, cosa non era stato mai fatto? Forse vivere gli Anticipi e i Posticipi scegliendo noi le partite da anticipare e posticipare. Nel passato, per quanto riguarda Gurrado, in un presente scelto invece dal posticipatore sia per quanto riguarda la partita fuori orario, sia per l’accompagnatore/scrittore vicino di posto sugli spalti, o sul divano.
Una volta scritti gli Anticipi e i Posticipi, abbiamo pensato alla bellezza di vederli raccolti in un libro, come un almanacco calcistico letterario, un album delle figurine di calciatori e scrittori.


Perché la dedica al Guerin sportivo?

Perché sono cresciuto leggendo il Guerin sportivo, anno dopo anno, superando anche, verso gli otto, lo schock di comprendere che il settimanale del guerriero in pantaloncini bianchi e canottiera verde che, con i piedi sulla V e sulla O, lanciava una penna come fosse un giavellotto, non si chiamava così perché anche mio padre di nome faceva Guerrino. Più avanti, il Guerin per me è stato una cura per resistere, mentre il calcio che avevo scoperto da ragazzino scompariva, inghiottito da troppi soldi, dal degrado culturale e sportivo di un popolo sempre più allo sbando, abile a dividersi in fazioni, religiosamente convinte di essere il bene contro il male, di avere comunque ragione. Anche oggi, vedo il Guerin come un ritrovo mensile di appassionati di calcio, che potrebbero tranquillamente trascorrere serate a parlare di pallone, senza recitare slogan come trasformati nell’avvocato difensore della propria squadra preferita. Insomma, il Guerin sportivo compie 100 anni, e ci pareva bello soffiare su quelle candeline.


Il calcio spezzettato e divorato dalle pay tv può tornare ai fasti comunitari e identitari del passato? avete una ricetta al riguardo?

Ci risiamo, ci danno lo spezzatino senza polenta. La polenta mancante è l’aspetto popolare del calcio che ci è stato sottratto. In una canzone il grande Giorgio Gaber, ironizzando sulla comparsa di campi da tennis in alcune fabbriche per far giocare anche gli operai al “gioco dei padroni”, ad un certo punto sbottava:
“Ma giocate al calcio, cazzo!”
Mi manca quest’aspetto popolare, ma più che lo spezzatino è l’immagine del calciatore come viene rappresentata oggi ad infastidirmi, una specie di star a tutto campo (non solo quello di gioco). E la deriva del giornalismo sportivo (e non solo sportivo), salvo rare eccezioni lasciato in mano a scribacchini mediocri assunti per raccomandazione, a provocatori, a tristi impiegati impolverati come i loro articoli, funzionali anche qui a chi li paga o alla squadra che devono sostenere e/o difendere.
Ricette, non ne vedo. Ci vorrebbe un azzeramento, simile a quello di cui avrebbe bisogno la classe politica e dirigente italiana. Ma anche questo non credo basterebbe. Il problema insanabile sta, a mio avviso, nella “malafede”, carattere distintivo secondo Curzio Malaparte del popolo italiano. E da un popolo in malafede io non mi aspetto e non pretendo nulla.


Quale è (o sono) la bandiera del calcio ancora in giro per i campi?

Ritengo Michel Platini e Diego Armando Maradona due bandiere del calcio mondiale. Una di buon governo, l’altra di opposizione.


Consigliereste a vostro figlio - quando ne avrete - di giocare al calcio oppure...

Certo, ma all’oratorio. Mio figlio comunque nascerà a gennaio, e sarà compito di suo padre porgli fin da subito una delle prime, fondamentali domande della vita:
“Ti senti più centrocampista o attaccante?”


Infine, un'autobiografia: chi sei, che fai e perché lo fai?

Sono Francesco Savio: libraio, scrittore, lettore per l’editore Giangiacomo Feltrinelli ma soprattutto ex trequartista. Faccio queste cose perché Andrea Agnelli non mi ha ancora chiamato alla Juventus. Per raccogliere i palloni alla fine di ogni allenamento, o allacciare le scarpe a Del Piero adesso che il capitano è vecchio e fatica a piegarsi con la schiena. Tuttavia, ringrazio il presidente bianconero per avermi scritto, un anno fa, un biglietto contenente delle frasi di apprezzamento per il mio primo romanzo “Mio padre era bellissimo”.