domenica 20 novembre 2011

Il posticipo_Fiorentina-Milan (La colazione di Stevan Vonnegut Jovetic)



Il sospetto che tutti gli uomini tranne lui fossero dei robot giunse nel cervello di Jovetic appena dopo colazione. Il tempo di digerire i cereali della General Mills Inc. e la decisione: far scivolare le dita sullo schermo del suo Iphone fino a “Delio Rossi”, chiamare il neoallenatore gigliato per comunicargli due cose:
“Mister: i muscoli profondi dell’anca mi fanno ancora male, contro il Milan sabato non ci potrò essere. Mister: in base al romanzo di Kilgore Trout che sto leggendo, ho capito che io sono l’unica creatura sulla terra dotata di libero arbitrio, e la cosa mi fa una certa impressione.”

Curioso tipo questo Kilgore Trout, delirante e spiantato scrittore di fantascienza, cinquantaquattrenne autore di centodiciassette romanzi e duemila racconti eppure sconosciuto a principale e colleghi, almeno fino a quando non aveva ricevuto, da parte dell’ammiratore Jovetic, l’invito alla partita di Firenze, anticipata per l’occasione allo stadio Franchi dal simposio “Il futuro del romanzo italiano nell’era di Alessandro Baricco e Bobby Saviano”.

E allora via in autostop verso la meta, trasportato da camionisti, con tappa per dormire in un cinema della provincia toscana, di certo più economico di una notte in albergo, al cinema come fanno i barboni, che infatti non mancavano nelle ultime file. Nel dormiveglia Kilgore, braccato all’interno del racconto dal suo creatore Kurt Vonnegut deciso a regalarsi qualcosa d’infantile per il suo cinquantesimo compleanno, proprio non poteva fare a meno di pensare:
“Non so chi siano Baricco e Saviano (mi dicono il primo un noioso mestierante della penna che nel suo ultimo romanzo purtroppo fa smettere di scrivere il protagonista invece che se stesso, il secondo un ex scrittore ora indignato di professione anche a New York, ma con biglietto pagato in Business Class). Io no so chi siano ripeto, ma so cosa significa passare una nottata in compagnia di un bel po’ di barboni in un cinema. Al simposio vogliamo parlare di questo?”

Jovetic intanto attendeva nelle vicinanze dello stadio, passeggiando su e giù con un occhio al suo orologio montenegrino, guardando gli altri tifosi come fossero robot, fiducioso che Kilgore potesse offrirgli un punto di vista nuovissimo sulla vita, o quantomeno sulla partita.
“Mi sono perso. Ho bisogno di qualcuno che mi prenda e mi conduca fuori dal bosco.”

Poi in tribuna, al fianco di un Trout indossante occhiali con lenti argentate, come specchi-falle verso altri mondi, osservando i movimenti sul campo di fiorentini e rossoneri, pensando a cosa avrebbe fatto lui, unico dotato di libero arbitrio, al posto loro, i novanta minuti erano trascorsi in un baleno. Un Milan migliore, non riusciva a vincere a causa di un goal di Seedorf annullato ingiustamente, di un rigore e mezzo non concesso, di un palo di Pato. Gli uomini di Delio Rossi, ancora scosso dalla strana telefonata mattutina del suo talento più importante, riuscivano a portare a casa un pareggio fatto di organizzazione difensiva, e un pizzico di fortuna. Fiorentina 0, Milan 0.

Nel dopo gara, al bar dello stadio, lo scrittore prima confortava il trequartista Stevan:
“Questo non è il tipo di posticipo in cui alla fine la gente ha quello che si merita. Ma tu, caro Jo-Jo, non farci caso. Alcuni sembrano averti in simpatia, altri in odio, e tu devi chiedertene il perché. Non sono altro che macchine simpatizzatrici e macchine odiatrici. Sei abbattuto, demoralizzato. Perché non dovresti esserlo? Naturalmente è stancante dover ragionare sempre in un universo che non è stato fatto per essere ragionevole.”
Poi, prima di salutarlo versando una lacrima lunga, lo implorava:
“Tu che assomigli al mio creatore Vonnegut da ragazzo, con lo stesso genio e gli stessi ricci giganti, esaudisci l’unica richiesta che gli ho gridato, nell’ultima riga de La colazione dei campioni (ovvero Addio, triste lunedì!). Ti prego: fammi giovane, fammi giovane, fammi giovane!”