lunedì 19 settembre 2011

Il Posticipo: Napoli-Milan (L’unica cosa sicura è il vento lungo il marciapiede di via Chiatamone)

Pare che Giorgio Bassani scoprì di essere Bassani nell’estate del’44, a Napoli, la sera in cui ebbe il coraggio di uscire dalla sua tana per qualificarsi come “io”, dopo un pomeriggio speso interamente in una stanzetta di pensione riuscendo a scrivere solamente cinque o sei righe. Cosa avrebbe potuto attendersi dal futuro? Non sarebbe mai divenuto un romanziere come Soldati, Moravia, Pratolini, capaci di accumulare centinaia e centinaia di pagine. E allora che fare? Accettare di essere “solamente” un poeta, per giunta preoccupato dalla momentanea assenza di poesie? Limitarsi a passeggiare ubriaco lungo il marciapiede di via Chiatamone?

E’ invece certo che l’anonimo narratore dei Finzi-Contini, ebbe l’impulso di scrivere la storia di Micòl e Alberto, del professor Ermanno e della signora Olga una domenica d’aprile del 1957, durante una gita in compagnia di amici alla necropoli etrusca di Cerveteri, osservando tombe antiche che facevano meno malinconia di quelle nuove, case definitive per morti lontani che era come non fossero mai vissuti.

Con ogni probabilità, se i due si fossero incontrati (Bassani e il narratore), magari per strada lungo il marciapiede di via Chiatamone, il primo si sarebbe risparmiato infelicità e tormenti, il secondo non avrebbe dovuto attendere diciotto anni per iniziare ad esistere, nel prologo di un romanzo meraviglioso fin dalla prima copertina Einaudi: una donna-montagna bianca e azzurra, con capelli neri, davanti ad un probabile cielo rosso, dipinto da Nicolas de Stael. A ben guardare, i colori di Napoli e Milan.

Con questa donna-montagna in testa, affascinante ma così diversa da come ho sempre immaginato Micòl Finzi-Contini, magistrale figura femminile conosciuta la quale è ben difficile innamorarsi di altre ragazze, in altri libri, al termine di una domenica lavorativa per certi versi orrendamente sublime nel separarmi dal mondo come l’antico giardino faceva con i personaggi del romanzo di Bassani, ho scavalcato il muro di cinta, ma invece di Micòl tredicenne pronta a consolarmi per essere stato rimandato in matematica, mi sono ritrovato allo stadio San Paolo per la partita.

Dentro, centomila occhi mi accompagnavano nell’osservare il volo in avanti quasi angelico del rossonero Alberto Aquilani per colpire di testa il perfetto cross di Antonio Cassano. Quindi, aveva inizio una lezione di calcio al pallone che il centravanti uruguagio-napoletano Edinson Cavani aveva l’accortezza di dividere in tre capitoli: al minuto numero tredici, colpendo al volo di collo in diagonale sfruttando l’assist di testa di Maggio. Al trentaseiesimo, fulminando Abbiati con un interno destro a giro sul primo palo dopo che gli addormentati centrocampisti del Milan avevano consentito a Gargano di percorrere settanta metri palla al piede. Al cinquantunesimo, ribattendo in rete di sinistro dall’altezza del dischetto una goffa respinta corta di Alessandro Nesta. Napoli 3, Milan 1.

Alla fine, fuori dallo stadio, saturo del rimorso per non aver avuto il coraggio di baciare Micòl, ma abbastanza soddisfatto per i novanta minuti intervallati da ben quattro goal, mi sono ritrovato barcollante lungo il marciapiede di via Chiatamone, razionalmente disperato dalla frenesia della vita ma tutto sommato quasi sereno scolpito da un vento, il più bello dell’anno dopo un temporale, unica cosa sicura nel suo portare a dissolversi ogni persona e ogni cosa.