lunedì 22 settembre 2014

A passeggio con il campionato (3)


Chiavari – Mangiavo farinata e alici fritte da Vittorio (osteria con cucina, Chiavari) mentre Milan e Juventus si apprestavano a scendere in campo, a Milano, avvenimento che tuttavia il vino bianco mi faceva quasi scordare mentre osservavo la gente in fila appoggiata al muro in attesa che noi finissimo, si trattava di persone in ritardo oppure non consapevoli che da Vittorio arrivare alle 19.30 significa accodarsi a un attesa nervosa almeno fino al creme caramel o al tirami su consumato da chi ti ha preceduto e ti guarda dal tavolo, conoscitore del luogo e delle abitudini, cercando di mantenere la lentezza del pasto perché ci mancherebbe non può essere colpa nostra. Mangiavo farinata e alici fritte da Vittorio e pensavo a quale era la migliore, di farinata, se quella di Vittorio o quella di Baiciotto, sempre Chiavari, che avevo provato solamente due sere prima, se soggiorni in Liguria per qualche giorno è un delitto non mangiare la farinata. Comunque mangiavo e bevevo, consapevole della mia religiosa mortalità grazie al buon vino, piazza Fenice mi era piaciuta anche l’altra volta quando mi ero messo a giocare a pallina con Pietro, adesso invece campeggiava un cartello con scritto “Vietato il gioco della palla”, l’avevano mica messo per noi? In ogni caso la loro colpa linguistica li avrebbe accompagnati all’inferno, si chiama calcio non gioco della palla. I murati vivi guardavano impazienti battendo a terra le infradito, buono il tirami su andate almeno a casa a cambiarvi, dicevo a Marco che a Milano non si trovano più posti come Vittorio dove mangi bene secondo la tradizione popolare non divenuta moda meneghina così abile ad alzare prezzi e ridurre porzioni, maledetta capitale del Nord, a Roma ad esempio avevo mangiato da Mario, a pochi passi dal Pantheon provando tuttavia sensazioni simili a quelle di Vittorio, alla parete stavano appese fotografie della Lazio se non ricordo male. Ma qui, la sera di Milan-Juventus a Chiavari, arrivavo a pensare che se l’Entella mi avesse proposto un biennale per concludere la carriera avrei potuto anche accettarlo, io Pirlo della Riviera umile a scendere di categoria tanto ormai avevo trentanove anni e un figlio stupendo, ascoltavo lontane le note di un disco di Nick Drake addormentarsi nel mio cervello, facciamo Bryter Layter, mentre a San Siro Barbara Berlusconi esibiva la sua maglietta attillata del Milan sotto la giacca di pelle buona tuttavia per distrarre gli spettatori ma non i calciatori Alexandre Pato escluso, in campo infatti i rossoneri stavano arroccati in nove al confine delle loro oggettive e attuali possibilità, diciamo il limite della propria area, mentre la Juventus seppur lentamente dava l’impressione del cobra che prima o poi avrebbe morso, colpito, ucciso la giovane preda. L’omicidio sarebbe avvenuto al ventiseiesimo del secondo tempo grazie a Carlos Tevez, beffardo nello scivolare prima di toccarla per Pogba, sornione fino a quel momento ma illuminato nell’immaginare un triangolo di ritorno per il grasso argentino poi infantile nel superare Abbiati con un tocco di piatto e infilarsi un ciuccio in bocca: Milan 0, Juventus 1. Io ne approfittavo per alzarmi dalla sedia e sentire il sospiro degli aspettanti pronti a sferrare l’attacco decisivo al menù da troppo agognato, arrivederci Vittorio, tornando all’automobile Chiavari sembrava Napoli con i motorini truccati e corso Garibaldi infestato da un locale per giovani ritardati caratterizzato da una musica da discoteca propagata oltre il livello del respiro condominiale da un gestore impunito e probabilmente protetto. In cinque giorni di mare non avevo letto nulla, scritto nulla, solo vissuto e pensato qualcosa che poi forse avrei dimenticato, e allora quale libro mettere a passeggio con il campionato, Mosca-Petuskì poema ferroviario di Venedikt Erofeev, povero disgraziato, nato nel ’38 e morto nel ’90, capace in vita di numerosi mestieri tra i quali il disoccupato (in Unione Sovietica, dove la disoccupazione non esisteva) e a lungo senza fissa dimora (in Unione Sovietica, dove non si poteva essere sena fissa dimora), oggi uno dei più conosciuti, imitati, ammirati, odiati, calunniati, malsopportati autori russi del Novecento.