martedì 20 marzo 2012

Il posticipo_Udinese-Napoli (Idioti a Desenzano)

Di passaggio a Desenzano tredici anni dopo l’ultima volta, probabilmente a causa di certi ignoti scherzi che la vita è solita fare, non avevo trovato sul lungolago ad attendermi quel venditore grasso di focacce amerinde indossante un berretto verde da cacciatore, con i paraorecchie che riuscivano a malapena a contenere le orecchie enormi. All’epoca Ignatius J. Reilly aspettava sua madre per tornare a casa insieme una volta terminate le focacce, convinto che il suo abbigliamento (che sotto il berretto proseguiva con una camicia di flanella a quadri e dei pantaloni di tweed larghi e robusti) rappresentasse il massimo sia dal punto di vista teologico sia da quello geometrico, mentre io mi concedevo una pausa con vista azzurra dal mio lavoro fine settimanale di consigliere elettrodomestico nei centri commerciali per conto di audaci marchi come Ariston, Whilpool, Candy.


Una domenica sì, e una no, Ignatius era affrontato con durezza da un poliziotto scemo che voleva arrestarlo, poco propenso ad accettare che un uomo di quelle proporzioni stesse ad aspettare solamente la madre, e non fosse implicato invece in qualche oscuro traffico.

“Quando nel mondo appare un vero genio, lo si riconosce dal fatto che tutti gli idioti fanno banda contro di lui” sottolineava Ignazio citando Jonathan Swift, prima di rivelarmi che l’unico motivo per il quale avrebbe potuto rischiare legalmente qualcosa era l’aver preso a pedate la macchinetta del Calcio nella salagiochi di Royal Street, colpevole di avere l’arbitro che non funzionava bene, anche se i gestori prima di restituirgli i soldi si erano mostrati così volgari da insinuare che fosse stato proprio lui a rompere la macchinetta con la sue scarpate.

Comunque fossero andate le cose, adesso a Desenzano Ignatius non c’era più, ma passeggiando vicino al porto avevo riconosciuto sua madre, intenta a raccontare ai passanti come il figlio avesse scritto un grande romanzo che però era stato respinto da nove editori, compresi Simon & Schuster di New York che dopo un’accoglienza inizialmente entusiasta si erano rifiutati di pubblicarlo perché in realtà, “il libro non parlava di niente”. Ignazio ci era rimasto male, fino a suicidarsi seduto nella sua auto con un tubo tra la marmitta e l’abitacolo. Aveva lasciato un biglietto, ma la madre l’aveva distrutto.

Sgomento e imbarazzato per la mia temporanea sebbene assoluta inutilità, avevo convinto Irene Reilly a fare un salto nella salagiochi preferita dal figlio, ignaro che i tredici anni trascorsi e le scoperte tecnologiche avvenute avessero trasformato le stanze con le macchinette di Royal Street in uno strip club, “Le notti di follia”, che la domenica prima degli spogliarelli aveva l’abitudine di caricare a mille i maschi avventori con la trasmissione del posticipo di Serie A.

Così mentre la signora Reilly mi assicurava con gli occhi dei matti che un giorno ce l’avrebbe fatta a far pubblicare il romanzo del figlio, l’Udinese aveva messo alle corde il Napoli per sessanta minuti portandosi sul 2-0 con Pinzi e Di Natale, fino a quando l’arbitro aveva smesso di funzionare favorendo in modo determinante l’undici partenopeo, a dimostrazione del fatto che se inizi la stagione scappando sopra uno scooter senza casco imprecando contro tutto e tutti, alla fine in Italia qualcosa raccogli. Dopo la rapina di Parma di quindici giorni addietro, nello specifico friulano i ragazzi di Mazzarri approfittavano dell’espulsione ingiusta di uno dei migliori in campo della squadra avversaria (Fabbrini), di un calcio di rigore molto dubbio poi elegantemente ciccato da Cavani, di un’interpretazione generale differente dei falli in base al colore della maglia. Tutto questo, unito alla veemente reazione del Napoli in superiorità numerica, consentiva agli azzurri inspiegabilmente gialli di pareggiare con due goal del loro rivoluzionario centravanti scheletrico-capellone, e di sfiorare la vittoria con Zuniga stoppato al novantesimo da una prodezza felina di Handanovic. Al fischio finale, dopo che Floro Flores aveva chiesto con glaciale ironia all’arbitro di scambiarsi le maglie, il presidente bianconero Pozzo sfogava in Tv tutto il suo malessere di provinciale frodato, subito smentito dai consueti commentatori televisivi, più attratti dalla comoda banalità compensativa.

Al mio fianco, Irene Reilly era ormai furiosamente ubriaca. Invece che osservare come me Gino Pozzo nella speranza che questi venisse al più presto sostituito dal maggior numero di donne nude consentito, prendeva a calci tavolino e sedie, come se questa irragionevole violenza potesse restituirle il figlio, e tutta la mole di opere che Ignatius, uccidendosi, non aveva potuto scrivere.