mercoledì 14 marzo 2012

Il posticipo_Genoa-Juventus (L’invenzione di Martin Calzelunghe Bioy Caceres)


Turbato dagli ultimi avvenimenti si era nascosto su un’isola deserta. Poi erano arrivati dei turisti capeggiati da un inventore geniale che aveva promesso loro l’eternità, solo sintetizzata attraverso un complesso macchinario nella registrazione della loro ultima settimana. A suo dire l’unico modo per consentire alla vita di acquisire un senso trasformandosi nell’utile magazzino della morte. Martin allora aveva perso la testa per una zingara che parlava francese. L’aveva spiata, pedinata. Le aveva regalato addirittura un giardino di fiori, senza ottenere però alcuna risposta. Aveva cominciato quindi a scrivere un diario, a leggere il cugino argentino Adolfo Bioy Casares, a pensare alla sua ultima settimana.

Aveva giocato bene contro il Genoa, anticipando gli attaccanti avversari con determinazione uruguagia mascherata nel suo look consueto fatto di capelli lunghi raccolti dietro la nuca e di calzettoni tirati sopra il ginocchio, come un Pippi Calzelunghe maschio e sudamericano. E anche i suoi compagni avrebbero meritato la vittoria. Non era bastato tuttavia tirare 29 volte verso la porta avversaria, collezionare 17 calci d’angolo, colpire due pali e una traversa: il risultato era rimasto inchiodato sullo 0-0. Del resto, al gioco del pallone non si vinceva ai punti. Oltre la sfortuna però ci si era messo anche il solito arbitro italiano, malapartianamente in malafede, astuto nell’uniformarsi alla legge a suo tempo enunciata e denunciata dall’allenatore bianconero Antonio Conte: “Nel dubbio, mai fischiare a favore della Juventus”. Un rigore netto non concesso a Matri, una rete regolare annullata a Pepe. Errori che andavano a sommarsi al solo penalty concesso ai bianconeri in 27 giornate, caso unico tra le squadre di vertice nei campionati europei. Il Milan ne aveva approfittato per battere il Lecce e portarsi a +4 in classifica, ipotecando la conquista del secondo scudetto consecutivo.

Sull’isola Martin aveva imparato a distinguere le radici commestibili, in fondo non erano tanto diverse da certi ciuffi d’erba che aveva ruminato al Marassi dopo averli strappati dal prato per non buttarsi troppo giù di morale. L’effetto di tale ingerimento sulla sua psiche era stato di natura allucinogena e l’aveva riportato ad un pomeriggio da bambino, quello in cui sua madre l’aveva rapato a zero. I compagni di calcio l’avevano subito soprannominato “El Pelado”.

Adesso invece sull’isola c’erano due soli e due lune nel cielo. Unico vivo circondato da “registrati”, aveva cercato di rompere il macchinario dell’inventore a sprangate prima di crollare a terra esausto e sconfitto, con i nervi a pezzi. Infine si era accorto che nonostante lo scudetto probabilmente perso senza possibilità di combattere ad armi pari la vita non era poi così atroce, e forse poteva anche essere il più felice di mortali. Bastava azionare i ricevitori di attività simultanea, ricordarsi di una storia immaginata con la ragione dal cugino Bioy, e recitare al meglio la sua ultima settimana.