lunedì 6 febbraio 2012

Il posticipo_Roma-Inter (An der Baumgrenze mit Borini)




Giunto al limite boschivo con il narratore, lui aveva proseguito, trovando i due taglialegna che gli avevano indicato il cadavere del ragazzo, congelato, coperto da due grossi camosci. Io invece ero tornato indietro fino all’albergo per controllare che la ragazza fosse morta veramente, avvelenata dal suo amore per il ragazzo, che però era suo fratello. Stava lì, coperta dal cappotto di lui che era fuggito durante la notte, troppo leggero per non morire, a ventun gradi sotto zero, questa la temperatura di Muhlbach, paesino montano a 980 metri.
Il perché pure io avessi deciso di passare qualche giorno in questa fredda località dove nessuno resisteva sano, dove in fondo tutti erano condannati a morte, sfuggiva perfino a me stesso. Meglio sarebbe stato andare come al solito nell’amata Obereggen, al maso di Evi ed Emerich, ma Bernhard mi aveva costretto a seguirlo sino al limite boschivo: an der Baumgrenze, aveva detto.

Oppure, neve per neve, avrei potuto dare retta al mio caporedattore che mi aveva consigliato di recarmi a Roma per recensire Roma-Inter, ma il rischio di trovare la capitale in tilt per il troppo bianco, e la probabile possibilità di restare intrappolato per ore su un treno-italia senza riscaldamento, e di essere magari rimborsato per questo disagio con un viaggio premio su Costa Crociere, mi aveva fatto decidere per Muhlbach.
Nella sala da pranzo dell’albergo la sera prima mi ero accorto dell’arrivo dei due innamorati, mentre il narratore scriveva una lettera alla fidanzata, ma senza dirle la verità. L’isolamento gli aveva logorato i nervi, di questo si trattava, e il fatto che in quel dannato paesino delle montagne austriache non fosse così facile seguire le partite della Serie A, di certo non migliorava la situazione. Magari questi due giovani sbucati dal nulla, gli avevo suggerito per rallegrarlo, sapevano almeno come procurarsi i risultati. Quando erano saliti in camera, la mia idea era stata quella di seguirli e di mettersi a origliare con l’orecchio alla parete fuori dalla loro stanza.

La cronaca di Roma-Inter era cominciata quasi subito (avevano il computer e si godevano la partita su qualche sito pirata, i due egoisti) così avevamo ascoltato senza ombra di dubbio la squadra di Luis Enrique prendere a pallonate Julio Cesar. Juan, Borini, Borini, Bojan: Roma 4, Inter 0. Dall’interno qualche imprecazione, poi il silenzio. Appena il tempo di nasconderci dietro un angolo, e avevamo visto il giovane uscire furioso sbattendo la porta, senza cappotto, facendo le scale a precipizio, come se avesse indossato per troppe ore la stanza come una camicia di forza. Un vortice di piedi in discesa, con in bocca la mano tesa come un coltello.


Il mattino dopo, Bernhard aveva terminato la sua lettera, una buona lettera, senza una minima bugia. Quindi, per soddisfare la padrona dell’albergo preoccupata dall’assenza a colazione della ragazza, eravamo risaliti fino alla sua camera:
“Aprite! Aprite!”    
Con una spallata, la porta si era aperta. La giovane giaceva di traverso sul letto matrimoniale, priva di sensi. Secondo il narratore, avvelenata. Da sola? Dal ragazzo fuggito?
“Andiamo fino al limite boschivo, Savio”. Intanto ti racconterò del perché la parte stupida del popolo austriaco mi chiama Nestbeschmutzer, sporca-nido. Del perché ho cento paia di scarpe, diverse per ogni tipo di passeggiata. Del perché ho smesso di tenere delle letture pubbliche: l’ultima volta, a Bolzano, c’erano solo due paralitici.