lunedì 20 febbraio 2012

Il posticipo_Inter-Bologna (I giovedì o venerdì della signora Giulia)


Con l’ispettore Sciancalepre ero stato chiaro:
“D’accordo che il giovedì è il mio giorno libero dal lavoro, ma non ho intenzione di dedicarlo interamente alla ricerca di informazioni relative alla scomparsa della signora Giulia.”
Sul treno che ci spostava dal paese di M. alla città di Milano, due gambe più il sacchetto di una nota catena di librerie avevano attirato l’occhio indagatore dello Sciancalepre, che aveva insistito per affiancarle alle nostre nella seduta.
“Le vedi Savio quelle due gambe?”
“Io no, sono sposato.”
“Comunque, si tratta di seguirle. Dove scendono loro, scendiamo noi. Ci porteranno da Giulia, la moglie dell’avvocato fuggita di casa.”

Personalmente dubitavo di questa intuizione poliziesca. E’ vero, lo Sciancalepre era noto per il suo fiuto particolare, per quella forza mentale che gli aveva quasi sempre conferito la possibilità di immedesimarsi nel delinquente e di risolvere i casi più complessi, ma questa vicenda della signora scomparsa l’aveva mandato in confusione. Giulia era solita recarsi a Milano ogni giovedì per fare visita alla figlia in collegio, ma c’era chi sospettava che quei viaggi servissero anche a placare l’insoddisfazione di una trentottenne sposata infelicemente con un uomo di sessanta. Qualunque fosse la verità, il commissario mi aveva convinto ad accompagnarlo nell’indagine.

Le gambe della donna del treno erano atterrate sul pavimento della Stazione Centrale con sconfortante eleganza, e a debita distanza era stato senza dubbio piacevole pedinarle fino a viale Premuda. Qui si erano fermate il tempo necessario per consentire alle braccia di estrarre dal sacchetto un libro, e alle mani di aprirlo per controllare a pagina 17 quale fosse il numero civico del palazzo dove la signora Giulia era solita incontrarsi con Luciano Barsanti, rappresentate. L’amante della moglie dell’avvocato era ancora lì, ma con la sciarpa nerazzurra al collo, pronto a prendere il tram per assistere all’anticipo dell’anticipo della ventiquattresima giornata, per l’occasione posticipato di tre ore rispetto all’orario fissato in precedenza per il giorno successivo.

La donna non aveva potuto sottrarsi dal baciarlo, il Barsanti, caduta nel tranello sentimentale solito colpire chi, alzando gli occhi dalle righe di un romanzo, si dimentica di constatare che quello che sta intorno c’entra ben poco con l’appena letto. Così Luciano si era ritrovato addosso una bella ragazza da abbracciare e alla quale spiegare che dopo i tornelli dello stadio Meazza, si sarebbero riscaldati anche grazie alle emozioni garantite da Inter-Bologna. Non avrebbe avuto torto.
Tra il trentasettesimo e il trentottesimo minuto del primo tempo, il centravanti bolognese Marco Di Vaio sarebbe riuscito per due volte a pugnalare la rammollita difesa nerazzurra. Nell’intervallo, Moratti avrebbe abbandonato demoralizzato e furente la tribuna, evitando quantomeno di assistere alla serpentina vincente di Robert Acquafresca, spietata nel fissare il risultato finale: Inter 0, Bologna 3.

Al commissariato, il presidente interista non sarebbe riuscito a convincere lo Sciancalepre riguardo alla repentina necessità di interrompere la partita per verificare se sotto il manto erboso di San Siro si trovasse davvero il cadavere della signora Giulia. Mi avrebbe raccontato, l’ispettore, di un uomo ossessionato da un romanzo di Piero Chiara: “I giovedì della signora Giulia”, convinto che il parco della villa dell’avvocato fosse invero il prato della sua squadra del cuore e che appena fuori dell’area di rigore, scavando, si sarebbe potuto scoprire con facilità il viso di Giulia, un tempo così pallido, adesso colore del miele e quasi trasparente. Mi avrebbe raccontato, l’ispettore, della discussione tra il petroliere e Claudio Ranieri, giunto sul posto per provare a tranquillizzarlo, ma con il suo solito, grottesco sorriso di fronte ad ogni pareggio e sconfitta. Mi avrebbe raccontato, l’ispettore, di averli osservati andare via, camminando paralleli fino al termine del muro del carcere prima di volgersi le spalle, come due duellanti, e incamminarsi sempre con lo stesso passo, l’uno verso destra e l’altro verso sinistra.