mercoledì 19 ottobre 2011

Il posticipo_ Lazio-Roma (La radiolina biancoceleste di Walt Whitman)




Lo ricordo come fosse ieri (invecchiando, almeno qualcosa resta, non tutto va perduto). Walt Whitman seduto da solo all’aperto, sulle spiagge di Long Island, tra le influenze dell’aria aperta, leggere il Vecchio e il Nuovo Testamento, poi Omero, Eschilo, Dante, Shakespeare.
Scorgendolo nei miei diciassette anni, intimorito dal suo splendore di non ancora poeta, io autodidatta come lui sebbene quasi geometra, leggendo invece “Il mestiere di vivere” di Cesare Pavese, sotto lo sguardo vacanziero ma turbato di mia madre:
“Perché mio figlio studia il mestiere di vivere invece che trovarsi un buon lavoro?”

Qualche anno dopo sempre Walt, vestito come un contadino, un operaio, reduce da un viaggio a New Orleans capace di trasformarlo in una foglia d’erba uguale a un giorno di lavoro delle stelle, questa volta sulla spiaggia di Ostia, questa volta a scrivere versi, così assorto nella necessità di trovare una risposta alla vita, alle domande che ricorrono, agli infiniti cortei di senza fede, agli occhi che bramano luce, ai poveri risultati di tutto…così assorto dal dimenticarsi che fosse domenica, e di essere ormai troppo lontano per tornare a casa in tempo alla Garbatella per vedersi il derby in televisione. Che fare?

Nella disperazione da appassionato, intercettare un venditore migrante da spiaggia e pagargli trenta dollari una radiolina, costo automaggiorato per compensare l’odioso tira e molla per abbassare il prezzo esercitato da certe carni umane sui salviettoni, abili a sfruttare penosamente il gran vantaggio di essere nati dalla parte giusta del mondo.
Whitman e la sua radiolina, io poco distante a origliare Tutto il Calcio minuto per minuto che racconta di Lazio-Roma.

Si gioca, dopo qualche incertezza relativa agli scontri di piazza del giorno prima, con la capitale messa a ferro e fuoco da ottocento black bloc non previsti da un Ministro dell’Interno jazzista, troppo impegnato ad esercitarsi (almeno il sabato) con il saxofono per occuparsi anche dell’ordine pubblico. Cinque minuti e la Roma passa in vantaggio con Osvaldo, freddo a superare Marchetti al termine di una bella combinazione José Angel-Pjanic-Gago. Quindi la partita sonnecchia fino a quando l’elegante Hernanes non decide di accendere la luce, trascinando con la classe dei campioni il resto dei compagni. Dribbling, tiri da fuori, anche il sollevamento di una zolla scagliata con violenza verso la porta giallorossa, parziale consolazione per tutti i privi di talento del mondo (anche i fenomeni brasiliani talvolta zappano).
Al sesto della ripresa Kjaer commette il fallo decisivo, trattenendo ingenuamente Brocchi lanciato a rete. Espulso. Il ballerino Hernanes questa volta non alza zolle e dal dischetto spiazza Stekelenburg con un calcio morbido e insieme deciso. Lazio 1, Roma 1.
Luis Enrique toglie Perrotta e mette Burdisso, ma i Lupi soffrono. Il biondoneropunk Cisse colpisce un palo splendido con una botta al volo, osservato dal suo allenatore incredulo e deluso (“anche stasera, non vincerò il derby”). Invece, al novantatreesimo, Miroslav Klose dimostra perché è ancora uno dei più forti bomber d’Europa: stop matematico su lancio-pallonetto di Matuzalem, piattone rapido ed è 2-1.
Il serio Edy Reja si trasforma in Carletto Mazzone e corre in campo, grigio e paonazzo, a cercare il suo centravanti tedesco-polacco preferito per ringraziarlo. Non lo troverà.
Klose è già sotto la curva Nord che recita ai tifosi in delirio:
“Io celebro me stesso, io canto me stesso.
E ciò che io presumo, presumetelo anche voi.”
Luis Enrique a occhi bassi verso il tunnel degli spogliaotoi è assai più pessimista, pur con un filo di speranza:
“Che cosa c’è di buono in tutto questo, ahimè, ah vita?
Che io sono qui, che esiste la vita e l’individuo, che il potente spettacolo continua, e io posso contribuirvi con un mio verso.”