mercoledì 7 gennaio 2009

L’unica volta che ho visto Maradona




L’unica volta che ho visto Maradona, era appena tornato dal Mondiale del 1986. Aveva vinto la Coppa del Mondo in Messico, trascinando al successo con la sua classe e la sua grinta anche i restanti dieci compagni di squadra, e realizzando nel corso della manifestazione quello che viene considerato il più bel gol della storia del calcio.
Rannicchiato sui gradoni delle tribune dello stadio “Mario Rigamonti”, osservavo Diego muoversi con la barba incolta, leggermente sovrappeso, la prima giornata del campionato 1986/87. Andava in scena Brescia-Napoli, e la squadra di casa, neopromossa, tendeva ad addormentare la partita, con il chiaro intento, vigliacco ma comprensibile, di far girare se possibile con maggiore velocità le lancette del cronometro dell’arbitro Agnolin. Io guardavo Maradona, pensando che probabilmente avevo davanti agli occhi il giocatore più forte del mondo, anche se il mio cuore di bambino batteva per Michel Platini, e questo solamente perché il cuore di mia sorella batteva a sua volta per Antonio Cabrini, una doppia faccenda di cuori che mio padre interista, aveva digerito con difficoltà. L’ingenua cecità del mio tifo per il centrocampista francese e per la squadra della città dove mi era capitato di nascere comunque, superava anche la noia mortale di quella partita orrendamente priva di tiri nello specchio della porta, e spiando Maradona attraverso le due sbarre orizzontali azzurro-blu dietro le quali ero praticamente inginocchiato, vicino ad altri bambini non paganti come me, stipati contro il limite più avanzato della tribuna, mi sorprendevo a dubitare di Maradona, il quale cicciotto trotterellava, più sudato di quanto mi aspettassi, senza fornire particolari indizi della sua presenza in campo e della sua oramai nota genialità.
Il gol più bello della storia del calcio. Le Tv e i giornali l’avevano ripetuto per giorni dopo la partita Argentina-Inghilterra, fino quasi a convincere pure me, me che a undici anni tra realtà, filmati e libri con disegnate le vignette delle reti più belle della storia del calcio, mi pareva di averne visti abbastanza di gol. Anche quello di Platini però quella volta, provavo a convincermi…Ma poi ripescavo nella memoria l’azione di Diego nel secondo gol all’Inghilterra ed ero costretto a tradire l’amato francese numero dieci della Juventus. Il gol di Maradona era il più bello, d’accordo, ma quando sarei stato grande, ci avrei pensato io a segnarne uno migliore. Divertiti adesso piccoletto, sognavo, mentre le Rondinelle arretravano minuto dopo minuto il loro baricentro, mostrando in alcuni difensori perfino gesti aerobici decisamente scoordinati, di chiaro panico, e grida ai compagni modulate con voci sempre più tremanti. Sfogati in questi anni durante i quali puoi vantarti di aver realizzato il gol più bello della tua epoca piccoletto, che poi toccherà a me.

Il Brescia indietreggiava, e dalle tribune sempre più silenziose traspariva il medesimo timore che di certo albergava anche nel cervello dei calciatori con la V bianca sul petto, e nella testa brizzolata del già poco amato allenatore Bruno Giorgi. Poi il numero 4 del Napoli, Salvatore Bagni, dai trenta metri aveva alzato il pallone in direzione del limite dell’area di rigore dove Maradona l’aveva stoppato, un po’ con il braccio e un po’ con la pancia (ecco a cosa gli serviva), e girandosi verso la porta aveva prima eluso l’intervento di un difensore, quindi fintato impercettibilmente di entrare verso il dischetto del rigore (quel tanto che basta per sbriciolare le intenzioni d’intervento di un secondo difensore) per poi uscire invece verso l’esterno dove, ovviamente di sinistro, aveva messo la palla rasoterra in diagonale nell’angolo più lontano, sotto lo sguardo stupito di Aliboni, portiere bresciano dell’epoca, per l’occasione dotato di cappellino.
Dagli spalti il pubblico aveva cominciato a gridare: “Mano! Mano! Era Mano!”, ma anche: “Bastardi! Terroni di merda! Bastardi!”. Qualcuno più arguto della massa scimmiesca aveva aggiunto: “Allora è un vizio!” volendo così rievocare agli altri presenti il primo gol agli inglesi, che Maradona aveva siglato anticipando Peter Shilton, il portiere della nazionale britannica, con un furbo colpo di mano che aveva permesso al capitano dell’Argentina di scavalcare con un minimo ma sufficiente pallonetto l’esterrefatto estremo difensore del Southampton.

A pochi minuti dalla fine, superato il subbuglio post-gol degli abitanti dello stadio, inferociti (la maggioranza), esultanti (la minoranza, sparsa e ben nascosta ovunque, ma decisamente numerosa e compatta nella gremita curva degli ospiti), le mie ginocchia cominciavano a sgretolarsi contro il cemento dei gradoni, più di quando la domenica a messa, rendevo conto a Gesù dei miei problemi e delle mie inefficienze settimanali. Una delle mie due squadre preferite stava perdendo, e non avrebbe mai pareggiato, questo era evidente, eppure unito allo sconforto della sconfitta, quasi maggiore era in me l’emozione di aver visto Maradona che aveva fatto gol nella mia città, respirando circa la stessa aria che respiravo io ogni giorno, nel campetto di sabbia e sassi dell’oratorio a pochi chilometri dallo stadio “Mario Rigamonti”, sognando però di diventare Platini. E poi non ero sicuro che l’avesse presa con il braccio. A me pareva che Diego avesse stoppato la palla con la pancia, e con la pancia allora si poteva.


(Ma poiché gli scrittori e i bambini sovente sono dei bugiardi, o vedono solo quello che vogliono vedere, se qualcuno volesse sapere come andò in realtà quella partita del 14 settembre 1986, clicchi pure qui sotto).