Quando avevo appena gli anni per
saper leggere, mio padre mi mise in mano Da
Quarto a Torino. “L’ha scritto Luciano Bianciardi,” mi spiegò “ma adesso io
torno a fare i materassi. Tu invece fai un po’ quello che vuoi.”
Da allora, credo che non sia
passata stagione senza che io ragazzo rileggessi quelle pagine, affascinato da
questo scrittore di Grosseto che si guadagnava da vivere traducendo, sei ore al
giorno, tutti i giorni, e che dedicava solo il fine settimana alla sua
scrittura.
All’epoca della breve storia della spedizione dei Mille,
Luciano viveva a Milano da sei anni. Dove?
Una volta adulto, mi sono
incamminato senza incertezze verso via Monterosa. Bianciardi abitava lì, ed
essendo sabato, stava scrivendo cose sue. Ma se l’avessi convinto a tirar fuori
dal garage il suo vecchio Bibliobus,
saremmo arrivati a Genova in orario per aspettare impazienti con gli altri,
distesi per terra, alla foce del Bisagno e sulla scogliera di Quarto, il
tenente colonnello Nino Bixio passarci a prendere con il Piemonte e il Lombardo,
le due navi gentilmente prestate da Giovan Battista Fauché, direttore della
società Rubattino. Ma il tempo passava, e il Generale Garibaldi si spazientiva,
preoccupato che tutti quegli uomini in mare potessero dare troppo nell’occhio.
Poi, da sotto il poncho una
vibrazione. L’eroe dei due mondi a
tastarsi dappertutto: nei pantaloni di flanella grigia, nei taschini della
camicia rossa, fino a trovarlo, il suo blackberry, e sullo schermo illuminato
il messaggio del Bixio:
“Giuseppe, siamo in ritardo.
Abbiamo avuto problemi a scaldare le macchine, ad avviare le ruote, ad
imbarcare sul Lombardo i mille
fucilacci del La Farina. Ingannate il tempo, almeno due ore.”
Meglio tornare indietro con le
barche quindi, e con gli altri Cacciatori
delle Alpi fare finta di niente, disperdersi e fischiettare, passeggiando sulla
riva prima di sparpagliarsi dandosi appuntamento a dopo. E già che ci siamo,
con Bianciardi schiacciare l’acceleratore del furgone che una volta usava per
portare i libri nelle campagne toscane e andare a Marassi, dove Genoa e Milan
si fronteggiano per la tredicesima giornata di campionato.
Allo stadio tutti piangono, ma
non è una brutta partita. Ci raccontano, a me e a Luciano, che il Milan ha già
avuto due grandi occasioni, entrambe con Nocerino. La prima sventata con la
punta del piede dall’inesauribile Marco Rossi, abile a togliere il pallone
dall’orizzonte con goal del centrocampista rossonero. La seconda una gran
parata di Frey. Poi, fuori dallo stadio sono partiti dei lacrimogeni, il pianto
si è trasferito anche dentro, e l’intervallo ha sorpreso le due squadre sullo
zero a zero. Al cinquantacinquesimo però, l’ancora commosso Kaladze falcia
spudoratamente Ibrahimovic in area di rigore. Espulso, e Zlatan dal dischetto
buca la rete: Genoa 0, Milan 1. E’ finita, ma come prevede il regolamento si
prosegue fino al novantesimo. Robinho riesce ad alzare un pallone sopra la
traversa a meno di un metro dalla riga di porta, il grottesco centravanti
Pratto finalmente si smarca e calcia verso Amelia, ma il tiro termina in fallo
laterale. Al settantanovesimo Nocerino fissa il risultato sul due a zero
appoggiando in porta da pochi passi l’assist di Boateng.
Durante il viaggio di ritorno verso
Quarto, Bianciardi borbotta e guida come uno che non ha più niente a che fare
con il resto del mondo. Mentre allenta i bottoni della sua camicia rossa, riesco
a chiedergli solamente in quale ruolo preferisce giocare, e se la vita era più
agra ai suoi tempi, o ai miei. Luciano mi risponde:
“Io, come al solito gioco centromediano,
metodista. Oggi si dice centrocampista. Coordino, imposto, a volte concludo.
Stop di ginocchio, finta di corpo al piccoletto, che ormai non ride più perché
regolarmente con la palla sono io che lo dribblo, palla all’ala, che centra,
testa e rete. Schema classico. Ma lo scatto non è più quello di un tempo, il
fiato neanche, ogni tanto devo fermami a riprenderlo. Ora la vita è sicuramente
meno agra. Non si stenta ad arrivare alla fine del mese, non si saltano più
cene, ci possiamo permettere di bere un bicchiere buono. Però, se la vita oggi
è meno agra, è anche molto più confusa. I valori si confondono, le persone
cambiano faccia, e ci si sente male. In un modo diverso, ma forse più di
prima.”