Semplificando, si potrebbe dire che ci sono due modi per calciare un rigore. Decidere prima da che parte tirare, e farlo preferibilmente angolando la direzione il più possibile e forte, oppure aspettare fino all’ultimo che il portiere si muova, e poi calciare dall’altra parte. Personalmente, ho quasi sempre scelto la prima soluzione, desiderando però nel profondo di essere un esperto della seconda. C’è qualcosa di psicologicamente più sottile, rischioso e affascinante nell’attendere le mosse dell’avversario sulla riga di porta. Ma bisogna essere molto freddi.
Ricordo una partita da bambino in cui, dopo aver realizzato i tre gol che avevano permesso alla mia squadra di passare dallo 0-3 al 3-3, l’arbitro fischiò un rigore per noi. Potrei anche tirare io, pensai, mentre tutti i miei compagni fissandomi avevano già preso per me questa decisione. Abbrancai il pallone e lo posizionai sul dischetto. Solitamente, diciamo nel 70% dei casi, calciavo dagli undici metri piazzando la palla con l’interno del piede, il più forte possibile, mirando l’angolo alla sinistra del portiere. La palla rasoterra, o a mezz’altezza. Ma rasoterra era meglio, specie se avevo di fronte un portiere alto: ora che si buttava, già era gol.
Ma quel giorno, ricordo, sistemai il pallone sul dischetto, indietreggiai di qualche passo, accennai una mezza corsa e calciai di collo, con gli occhi socchiusi, alle stelle. La partita finì 3 a 3. I compagni mi consolarono, ero comunque stato il migliore in campo. D’accordo, ma non mi davo pace, piangendo.
Quando una sera d’inizio agosto ho visto Del Piero prepararsi a tirare il rigore decisivo nella finale della Peace Cup contro l’Aston Villa ho pensato: è fatta. Stiamo calmi, non diciamolo ad alta voce, ma è fatta. Non rammentavo nemmeno l’ultimo errore dagli undici metri del capitano della Juventus, uno tra i più bravi rigoristi in circolazione. Ma Alessandro ha preso la rincorsa, il portiere ha cominciato a muovere le gambe a destra e a sinistra per infastidirlo (anche se in tono minore rispetto ai più tremanti Groobelar e Dudek, estremi difensori del Liverpool nelle vittoriose finali di Coppa Campioni 1984 e 2005). Del Piero non ci ha capito più niente e ha calciato di piatto, centrale, così lentamente che Guzan, portiere dei Villans, ha parato il pallone con i piedi. Poi Legrottaglie ha superato la traversa di qualche metro, e l’Aston Villa ha vinto, oggettivamente senza troppo merito per la qualità del gioco espresso, la Peace Cup. Ma si sa, il calcio è così.
Del Piero è uscito dal campo scuro in volto, non solo per l’errore, ma anche per come questo era maturato. Perché Alessandro, molto meglio di me, sa che, semplificando, ci sono due modi di calciare un rigore, e quando sbagli rimpiangi immediatamente di non aver scelto quello che non hai preso in considerazione.
Ricordo una partita da bambino in cui, dopo aver realizzato i tre gol che avevano permesso alla mia squadra di passare dallo 0-3 al 3-3, l’arbitro fischiò un rigore per noi. Potrei anche tirare io, pensai, mentre tutti i miei compagni fissandomi avevano già preso per me questa decisione. Abbrancai il pallone e lo posizionai sul dischetto. Solitamente, diciamo nel 70% dei casi, calciavo dagli undici metri piazzando la palla con l’interno del piede, il più forte possibile, mirando l’angolo alla sinistra del portiere. La palla rasoterra, o a mezz’altezza. Ma rasoterra era meglio, specie se avevo di fronte un portiere alto: ora che si buttava, già era gol.
Ma quel giorno, ricordo, sistemai il pallone sul dischetto, indietreggiai di qualche passo, accennai una mezza corsa e calciai di collo, con gli occhi socchiusi, alle stelle. La partita finì 3 a 3. I compagni mi consolarono, ero comunque stato il migliore in campo. D’accordo, ma non mi davo pace, piangendo.
Quando una sera d’inizio agosto ho visto Del Piero prepararsi a tirare il rigore decisivo nella finale della Peace Cup contro l’Aston Villa ho pensato: è fatta. Stiamo calmi, non diciamolo ad alta voce, ma è fatta. Non rammentavo nemmeno l’ultimo errore dagli undici metri del capitano della Juventus, uno tra i più bravi rigoristi in circolazione. Ma Alessandro ha preso la rincorsa, il portiere ha cominciato a muovere le gambe a destra e a sinistra per infastidirlo (anche se in tono minore rispetto ai più tremanti Groobelar e Dudek, estremi difensori del Liverpool nelle vittoriose finali di Coppa Campioni 1984 e 2005). Del Piero non ci ha capito più niente e ha calciato di piatto, centrale, così lentamente che Guzan, portiere dei Villans, ha parato il pallone con i piedi. Poi Legrottaglie ha superato la traversa di qualche metro, e l’Aston Villa ha vinto, oggettivamente senza troppo merito per la qualità del gioco espresso, la Peace Cup. Ma si sa, il calcio è così.
Del Piero è uscito dal campo scuro in volto, non solo per l’errore, ma anche per come questo era maturato. Perché Alessandro, molto meglio di me, sa che, semplificando, ci sono due modi di calciare un rigore, e quando sbagli rimpiangi immediatamente di non aver scelto quello che non hai preso in considerazione.