Chiavari – Mangiavo farinata e alici
fritte da Vittorio (osteria con cucina, Chiavari) mentre Milan e Juventus si
apprestavano a scendere in campo, a Milano, avvenimento che tuttavia il vino
bianco mi faceva quasi scordare mentre osservavo la gente in fila appoggiata al
muro in attesa che noi finissimo, si trattava di persone in ritardo oppure non
consapevoli che da Vittorio arrivare alle 19.30 significa accodarsi a un attesa
nervosa almeno fino al creme caramel o al tirami su consumato da chi ti ha
preceduto e ti guarda dal tavolo, conoscitore del luogo e delle abitudini, cercando
di mantenere la lentezza del pasto perché ci mancherebbe non può essere colpa
nostra. Mangiavo farinata e alici fritte da Vittorio e pensavo a quale era la
migliore, di farinata, se quella di Vittorio o quella di Baiciotto, sempre
Chiavari, che avevo provato solamente due sere prima, se soggiorni in Liguria per
qualche giorno è un delitto non mangiare la farinata. Comunque mangiavo e
bevevo, consapevole della mia religiosa mortalità grazie al buon vino, piazza
Fenice mi era piaciuta anche l’altra volta quando mi ero messo a giocare a
pallina con Pietro, adesso invece campeggiava un cartello con scritto “Vietato
il gioco della palla”, l’avevano mica messo per noi? In ogni caso la loro colpa
linguistica li avrebbe accompagnati all’inferno, si chiama calcio non gioco
della palla. I murati vivi guardavano impazienti battendo a terra le infradito,
buono il tirami su andate almeno a casa a cambiarvi, dicevo a Marco che a
Milano non si trovano più posti come Vittorio dove mangi bene secondo la
tradizione popolare non divenuta moda meneghina così abile ad alzare prezzi e
ridurre porzioni, maledetta capitale del Nord, a Roma ad esempio avevo mangiato
da Mario, a pochi passi dal Pantheon provando tuttavia sensazioni simili a quelle
di Vittorio, alla parete stavano appese fotografie della Lazio se non ricordo
male. Ma qui, la sera di Milan-Juventus a Chiavari, arrivavo a pensare che se l’Entella
mi avesse proposto un biennale per concludere la carriera avrei potuto anche accettarlo,
io Pirlo della Riviera umile a scendere di categoria tanto ormai avevo
trentanove anni e un figlio stupendo, ascoltavo lontane le note di un disco di
Nick Drake addormentarsi nel mio cervello, facciamo Bryter Layter, mentre a San
Siro Barbara Berlusconi esibiva la sua maglietta attillata del Milan sotto la
giacca di pelle buona tuttavia per distrarre gli spettatori ma non i calciatori
Alexandre Pato escluso, in campo infatti i rossoneri stavano arroccati in nove al
confine delle loro oggettive e attuali possibilità, diciamo il limite della
propria area, mentre la Juventus seppur lentamente dava l’impressione del cobra
che prima o poi avrebbe morso, colpito, ucciso la giovane preda. L’omicidio
sarebbe avvenuto al ventiseiesimo del secondo tempo grazie a Carlos Tevez,
beffardo nello scivolare prima di toccarla per Pogba, sornione fino a quel
momento ma illuminato nell’immaginare un triangolo di ritorno per il grasso
argentino poi infantile nel superare Abbiati con un tocco di piatto e infilarsi
un ciuccio in bocca: Milan 0, Juventus 1. Io ne approfittavo per alzarmi dalla
sedia e sentire il sospiro degli aspettanti pronti a sferrare l’attacco decisivo
al menù da troppo agognato, arrivederci Vittorio, tornando all’automobile Chiavari
sembrava Napoli con i motorini truccati e corso Garibaldi infestato da un locale
per giovani ritardati caratterizzato da una musica da discoteca propagata oltre
il livello del respiro condominiale da un gestore impunito e probabilmente
protetto. In cinque giorni di mare non avevo letto nulla, scritto nulla, solo vissuto
e pensato qualcosa che poi forse avrei dimenticato, e allora quale libro mettere
a passeggio con il campionato, Mosca-Petuskì
poema ferroviario di Venedikt Erofeev, povero disgraziato, nato nel ’38 e
morto nel ’90, capace in vita di numerosi mestieri tra i quali il disoccupato
(in Unione Sovietica, dove la disoccupazione non esisteva) e a lungo senza
fissa dimora (in Unione Sovietica, dove non si poteva essere sena fissa dimora),
oggi uno dei più conosciuti, imitati, ammirati, odiati, calunniati,
malsopportati autori russi del Novecento.