lunedì 21 luglio 2014

Una recensione bellissima

Capita di ricevere recensioni bellissime, come questa di Gianvittorio Randaccio per Quasi Rete, blog letterario della Gazzetta dello Sport. Ti fanno quasi pensare che valga la pena scrivere. 



di Gianvittorio Randaccio
Se uno legge Il Fuorigioco sta antipatico ai bambini, a un certo punto, a pagina 114, succede che Francesco Savio, ormai alla fine di quello che che lui chiama un romanzo e invece non è un romanzo, ma undici romanzi brevissimi che dovrebbero avere a che fare con i mondiali di calcio e la letteraratura, e invece cambiano direzione continuamente e col calcio e la letteratura si bagnano un pochino e poi tornano fuori dall’acqua, si mette a raccontare di lui e di Pietro, suo figlio, e del fatto che lui, Francesco, vuole portare Pietro al cimitero, che per lui, Francesco, è un posto triste, mentre per il figlio, Pietro, no, anzi, è un posto come un altro dove passeggiare o correre senza avere niente a cui pensare, se non passeggiare o correre, per l’appunto. A questo punto di pagina 114 succede anche, ma questo Francesco Savio non può saperlo, che a me sgangherato lettore questa cosa del cimitero e dei bambini fa venire come un groppo in gola pieno di emozione e mi fa pensare a una scena simile vissuta da me con una bambina di tre anni che, entrando al cimitero maggiore di Milano, si guarda intorno stupefatta dicendo che questo parco è veramente grandissimo, entusiasta della contemporanea presenza di addirittura due ruspe gialle, purtroppo ferme, visto che è domenica. E questa cosa di pagina 114, che magari agli altri lettori del Fuorigioco sta antipatico ai bambini non dice niente, per me si trasforma nella rivelazione del senso di questo libro, nel quale i mondiali sono una scusa per proseguire un discorso cominciato con Mio padre era bellissimo e proseguito con Il silenzio della felicità, e anzi forse nel senso stesso della scrittura di Francesco Savio, che spesso trova il modo di farti vedere delle cose all’improvviso, come se svoltassi di colpo in una strada nuova e bellissima, costringendoti ad alzare gli occhi dalla pagina per cercare di guardare un po’ più in là, appena dopo quella svolta, alla ricerca di spazio, per permettere a tutti questi groppi di emozione di trovare dello spazio per stendersi un po’, che se no si accartocciano su se stessi e rischiano di scoppiare. E, per finire, questa benedetta pagina 114 ti fa pensare che tutto questo giro di tue emozioni così personali ha sicuramente a che fare con un cimitero, una bambina di tre anni e due ruspe gialle, ma anche con qualcosa di più profondo, misterioso e insondabile, che è la capacità di Francesco Savio di aggrapparsi con leggerezza alle cose che non si possono spiegare, lasciandoti la netta sensazione che, alla fine, spiegarle non serve a niente, basta raccontarle.