Milano – Al bar del mattino un
muratore jugoslavo batteva il pugno sopra il bancone e imprecava per un lavoro
che aveva già fatto e gli toccava adesso rifare, non per colpa sua ma a causa
di un cliente o del capo stronzo o di un altro muratore che aveva messo le mani
dove non avrebbe dovuto e adesso insomma gli toccava rifarla da capo, la
parete, porca puttana quanto tempo perso e il tempo erano soldi. Poi aveva da
finire quell’altro lavoro in quell’altra casa, e ci sarebbe pure stato da
trattare sul prezzo come al solito perché quando c’era da pagare diventavano
tutti uguali, lo jugoslavo azzannava la briosche e tirava una Madonna prima di
immergerla nel cappuccio. Io approfittavo del mio, di cappuccio, per poi entrare
nell’ex-libreria come ex-libraio, adesso cassiere in virtù di un’indubitabile
meritocrazia, quanti nuovi romanzi orrendi mi spiavano dagli scaffali, la folla
italiana in lacrime per la scomparsa dello scrittore famoso un tempo comico,
era una lotta tra lui e il Premio Strega Francesco Piccolo, per una volta non
c’erano dubbi meglio il Premio Strega anche se Il desiderio di essere come tutti io avevo smesso di leggerlo dopo
cento pagine, senza una precisa ragione o forse sì. Avanzavano scontrini e
mattinata e le condizioni per l’isteria collettiva c’erano tutte, del resto
pioveva, in Brasile un’infermiera era stata licenziata per aver filmato con il
telefonino Neymar trasportato in barella dentro l’ospedale, la notizia
campeggiava su tutti i giornali insieme al Papa che scomunicava i camorristi
che allora non andavano più a messa e al commento all’accaduto dell’autore
milionario specializzato in anti-camorra. Le condizioni per l’isteria
collettiva c’erano tutte: il muratore jugoslavo, l’infermiera impiccata negli
scantinati dell’ospedale per aver filmato sorridente il Dio del pallone, altro
che Maracanazo, i giocatori del Brasile durante l’inno nazionale sembravano
donne sull’orlo in un film qualsiasi di Pedro Almodovar, la Germania entrava sul
terreno di gioco dello stadio Mineirao indossando a sorpresa e con genialità la
maglia del Flamengo al posto dell’abituale casacca bianca e questa mossa
sparigliava gli equilibri, in ventinove minuti i tedeschi ne facevano cinque
con Mueller, Klose, Kroos due volte e Sami Khedira, migliore in campo. Cacao,
meravigliao. L’Onu decideva d’intervenire solamente tra il primo e il secondo
tempo e al risveglio, di fronte alla popolazione verdeoro attonita, Scolari
sostituiva la macchietta verde Hulk con Ramires e Fernandinho con Paulinho. La
risultante era un Brasile all’arrembaggio nei primi minuti che tuttavia
sbatteva contro il consueto, insuperabile Neuer. Qualche giocatore del Brasile
cominciava a tuffarsi in area di rigore alla ricerca del disperato goal della
bandiera, con attaccanti come Fred e Bernard (un Giovinco meno decisivo) in
effetti non si poteva certo sperare di segnare su azione. Verso la mezzanotte
italiana pareva evidente che la Seleção non
avrebbe mai gonfiato la rete e che anzi sarebbe toccato nuovamente ai tedeschi
arrotondare con una doppietta dello
spettinato Schürrle, ma all’ultimo minuto disponibile invece il
magrolino Oscar riusciva a compiere il prodigio trafiggendo sul primo palo un
arrabbiato Neuer e fissando un risultato che nessuno avrebbe pronosticato alla
vigilia: Brasile 1, Germania 7. Al triplice fischio le lamentele del pubblico
brasiliano non erano neppure esagerate considerata la situazione, prevaleva lo
sconcerto, Thiago Silva con il cappellino bianco di Neymar raggiungeva il campo
per consolare i compagni e in particolare proprio il giovane Oscar, mentre i
tedeschi salutavano i pochi sostenitori saltellando ubriachi e festosi verso la
finale del Maracanã. Argentina oppure Olanda? Domani sera tutti ne avremmo
saputo di più.