Ho spesso fatto
confusione tra leggere e scrivere, tanto che a volte ho provato più emozione a
leggere una pagina piuttosto che a scriverla, e allora qualcuno mi diceva che
non ero uno scrittore ma un lettore, e io gli rispondevo può darsi forse è vero
cosa c’è di male, oppure magari non mi prendo troppo sul serio e questo è un
grande bene. Perché di dichiararmi scrittore anche piccolo mi sono sempre
vergognato, di una vergogna stupida come quella da ragazzo con le scarpe nuove
specie da ginnastica bianche, che una volta a quindici anni nonostante il
disappunto di mia madre mi vergognavo a tal punto dell’eccessiva luminosità di
quel bianco nuovo che ero andato al campo di sabbia dell’oratorio a tirare
qualche calcio al pallone solo per sporcarle, le scarpe, da solo correndo sul
lato destro del campo avanti e indietro per poi tirare in diagonale verso il
palo più lontano, rasoterra oppure alto verso l’incrocio dei pali, fino a non
farcela più dalla stanchezza.
Comunque, ho sempre avuto delle remore nel definirmi scrittore anche piccolo, perché pensavo che so metti che mi sente Henry Miller, eppure crescendo notavo come intorno a me dalla giovinezza in poi gli scrittori e i poeti invece fioccassero, senza pudore, come quelli che si presentavano o firmavano dicendo o scrivendo che so Paolo Rossi e ci tenevano a precisare: ”scrittore”.
Una volta per caso sul tram a Milano, con quel giovane autore italiano che aveva pubblicato un romanzo per una grande casa editrice e mi confessava che la sua più grande sofferenza era quella di non essere compreso a sufficienza dai contemporanei e io pensavo per la Madonna, mi sa che stai un po’ esagerando, se ti sente Henry Miller?
Comunque, ho sempre avuto delle remore nel definirmi scrittore anche piccolo, perché pensavo che so metti che mi sente Henry Miller, eppure crescendo notavo come intorno a me dalla giovinezza in poi gli scrittori e i poeti invece fioccassero, senza pudore, come quelli che si presentavano o firmavano dicendo o scrivendo che so Paolo Rossi e ci tenevano a precisare: ”scrittore”.
Una volta per caso sul tram a Milano, con quel giovane autore italiano che aveva pubblicato un romanzo per una grande casa editrice e mi confessava che la sua più grande sofferenza era quella di non essere compreso a sufficienza dai contemporanei e io pensavo per la Madonna, mi sa che stai un po’ esagerando, se ti sente Henry Miller?
Invece andando a
lavorare alle sette e quaranta del mattino sabato scorso, ho incontrato per
strada un uomo che urlava al cielo IO SONO UNO SCRITTORE! Veniva verso di me,
puzzava di vino, un po’ sporco un po’ sudato e io pensavo avrò capito male, non
avrà detto mica scrittore certo sarebbe curioso, alle sette e quaranta del mattino,
eppure dopo pochi passi l’aveva ripetuto il grido IO SONO UNO SCRITTORE! e io
gli ho detto guarda almeno io ti credo, sei in buona compagnia, hai mai provato
in passato io non ce la faccio proprio, a essere morto come loro, però adesso
devo andare a lavorare in cassa a battere un bel po’ di scontrini con la coda
che non finisce mai, che una volta è venuto in negozio Carlo F., io ero dentro
la teca in vetro numero 7 da ore e ore, da giorni e giorni ormai dimentico del
mio amato mestiere di libraio e lui aveva pagato alla 9 ma dopo era tornato
indietro apposta per salutarmi, gli era piaciuto il mio primo romanzetto, aveva
aperto la porta di vetro che stava dietro la mia schiena mi aveva dato un pacca
sulla spalla e mi aveva detto: “Forza”. Al momento ero rimasto sorpreso, vuoi
perché dopo due tre ore di cassa con la coda continua il cervello tende a
sbriciolarsi, per chi non l’avesse mai provato c’è il rischio di ritrovarsi
mentalmente dentro il “Tic” di Giorgio Gaber, vuoi perché “Forza” non me l’aspettavo,
e girandomi su me stesso probabilmente avevo risposto “Sì, ciao”, che non era
forse la cosa migliore ma cosa avrei dovuto dire, ci avevo ripensato quando se
n’era andato Carlo forse sarebbe stato meglio dire “Grazie”, oppure “Juve”, ma
non era il caso di mettersi a fare cori con la gente in coda, Carlo, è vero su “Forza
Juve” siamo d’accordo, ma insomma, non tutti purtroppo la pensano come noi.
Così Carlo mi aveva detto “Forza”, io gli avevo detto “Sì, ciao”, e poi sono
uscito e ho incontrato per strada un uomo che urlava al cielo che era uno
scrittore, gli ho detto guarda almeno io ti credo, hai mai provato in passato
io non ce la faccio proprio, a essere morto come loro, e sono andato a lavorare
perché erano le sette e quaranta del mattino.