E poi c’è la storia di
quello scrittore russo che stava nel gulag, e la mattina si svegliavano
all’alba e iniziavano a lavorare, poi alle tredici mangiavano si per dire,
della brodaglia e della specie di pane-pietra, poi lavoravano ancora fino a
sera quando stremati andavano a dormire, saranno state le ventuno nelle
camerate, ma in quell’ora probabile di tempo prima di andare a dormire
definitivamente chi aveva voglia di scrivere, era di gran lunga meglio
approfittare di quei pochi minuti per vivere. Il suo libro lo scrittore, se lo
scriveva nella testa mentre lavorava forzatamente, una frase più o meno al
giorno o forse una pagina, questo non me lo ricordo, facciamo per comodità una
frase cioè un giorno ad esempio pensava E
poi c’è la storia di quello scrittore che stava nel gulag, il giorno dopo
per non dimenticare nulla aggiungeva alla prima frase la seconda: E poi c’è la storia di quello scrittore che
stava nel gulag, e la mattina si svegliavano all’alba e iniziavano a lavorare.
Così fino ad imparare a memoria un libro completo da srotolare e scrivere sulla
carta una volta uscito dalla prigionia, magari dettandolo alla moglie per non
fare troppa fatica.
A questo pensavo mentre
guidavo in autostrada, calcolando che con il ritmo di due/quattro viaggi a
settimana Milano-Brescia Brescia-Milano, ne avrei avute di occasioni per
imparare a memoria il mio libro ben meno importante, una frase per volta,
guidando e scrivendo, fino a terminarlo anche con assoluta calma nel giro di
qualche anno, per poi poter dire questo romanzo chiamiamolo così ci ho messo
cinque anni a scriverlo nel tempo libero, in autostrada. Ma come mai questa
scelta? Devo ringraziare un noto scrittore russo. Ma pensavo anche in
autostrada che tra aver qualcosa da dire e costruire una storia ne passa di
differenza, e mi pare che intorno molti costruiscano una storia anche se non
hanno nulla da dire, e invece io penso che se non si ha nulla da dire per un
certo periodo o anche per sempre è meglio starsene zitti e leggere le cose che
hanno da dire gli altri. Inoltre, mentre Pietro dormiva e Marta quasi sul
sedile dietro, pensavo che quella entrante sarebbe stata per me l’ultima
settimana normale, perché da febbraio con il ritorno di Marta all’attività
lavorativa i miei fine settimana sarebbero radicalmente cambiati in questa
direzione:
Venerdì: 8-14 libreria,
15-20 da solo con Pietro.
Sabato: 8-14 libreria,
15-20 da solo con Pietro.
Domenica: 9.45-20.15 da
solo con Pietro.
andando a mutare la fisionomia dei miei week-end in modo determinante, a meno che il giovine Pietro non mi sorprenda a soli tredici mesi d’età pregandomi in ginocchio di ascoltare insieme Tutto il calcio minuto per minuto o di leggere a ripetizione fino alla noia qualche scrittore russo.
Ecco, più o meno questo è quello che avevo da dire, ma poi è successo che in libreria ho visto con i miei occhi il direttore di un importante quotidiano, acquistare dieci copie del suo inutile libro per poi buttarle appena fuori dal negozio nel cestino della spazzatura. Ho sentito per caso dei miei colleghi in altre librerie, e mi hanno detto che anche da loro il direttore di un importante quotidiano, ha comprato dieci copie del suo inutile libro per poi buttarle appena fuori dal negozio nel cestino della spazzatura, ed unendo i fattori insomma sono arrivato alla conclusione che nella città di M. c’è il direttore di un importante quotidiano che fa il giro delle librerie per comprare dieci copie del suo libro e poi buttarle nel cestino della spazzatura, nella patetica speranza presumo di entrare così in classifica e diventare un famoso saggista, perché altrimenti le sue raffinate analisi non interesserebbero davvero a nessuno, e a parte lo spreco economico e la tristezza umana del suo gesto, ho pensato che comunque vada la sua vita e la nostra, qualunque sia il suo conto in banca e il nostro, questo signore non sarà mai capace di scrivere un libro frase dopo frase nella testa, o di immaginare romanzi guidando l’automobile.