Giunto al limite boschivo con il
narratore, lui aveva proseguito, trovando i due taglialegna che gli avevano
indicato il cadavere del ragazzo, congelato, coperto da due grossi
camosci. Io invece ero tornato indietro fino all’albergo per controllare che la
ragazza fosse morta veramente, avvelenata dal suo amore per il ragazzo, che
però era suo fratello. Stava lì, coperta dal cappotto di lui che era fuggito
durante la notte, troppo leggero per non morire, a ventun gradi sotto zero,
questa la temperatura di Muhlbach, paesino montano a 980 metri.
Il perché pure io avessi deciso
di passare qualche giorno in questa fredda località dove nessuno resisteva
sano, dove in fondo tutti erano condannati a morte, sfuggiva perfino a me
stesso. Meglio sarebbe stato andare come al solito nell’amata Obereggen, al
maso di Evi ed Emerich, ma Bernhard mi aveva costretto a seguirlo sino al
limite boschivo: an der Baumgrenze, aveva detto.
Oppure, neve per neve, avrei potuto dare retta al mio caporedattore che mi aveva consigliato di recarmi a Roma per recensire Roma-Inter, ma il rischio di trovare la capitale in tilt per il troppo bianco, e la probabile possibilità di restare intrappolato per ore su un treno-italia senza riscaldamento, e di essere magari rimborsato per questo disagio con un viaggio premio su Costa Crociere, mi aveva fatto decidere per Muhlbach.
Oppure, neve per neve, avrei potuto dare retta al mio caporedattore che mi aveva consigliato di recarmi a Roma per recensire Roma-Inter, ma il rischio di trovare la capitale in tilt per il troppo bianco, e la probabile possibilità di restare intrappolato per ore su un treno-italia senza riscaldamento, e di essere magari rimborsato per questo disagio con un viaggio premio su Costa Crociere, mi aveva fatto decidere per Muhlbach.
Nella sala da pranzo
dell’albergo la sera prima mi ero accorto dell’arrivo dei due innamorati,
mentre il narratore scriveva una lettera alla fidanzata, ma senza dirle la
verità. L’isolamento gli aveva logorato i nervi, di questo si trattava, e il
fatto che in quel dannato paesino delle montagne austriache non fosse così
facile seguire le partite della Serie A, di certo non migliorava la situazione.
Magari questi due giovani sbucati dal nulla, gli avevo suggerito per
rallegrarlo, sapevano almeno come procurarsi i risultati. Quando erano saliti
in camera, la mia idea era stata quella di seguirli e di mettersi a origliare
con l’orecchio alla parete fuori dalla loro stanza.
La cronaca di Roma-Inter era
cominciata quasi subito (avevano il computer e si godevano la partita su
qualche sito pirata, i due egoisti) così avevamo ascoltato senza ombra di
dubbio la squadra di Luis Enrique prendere a pallonate Julio Cesar. Juan,
Borini, Borini, Bojan: Roma 4, Inter 0. Dall’interno qualche imprecazione, poi
il silenzio. Appena il tempo di nasconderci dietro un angolo, e avevamo visto
il giovane uscire furioso sbattendo la porta, senza cappotto, facendo le scale
a precipizio, come se avesse indossato per troppe ore la stanza come una
camicia di forza. Un vortice di piedi in discesa, con in bocca la mano tesa
come un coltello.
Il mattino dopo, Bernhard aveva
terminato la sua lettera, una buona lettera, senza una minima bugia. Quindi,
per soddisfare la padrona dell’albergo preoccupata dall’assenza a colazione
della ragazza, eravamo risaliti fino alla sua camera:
“Aprite! Aprite!”
Con una spallata, la porta si era aperta. La giovane giaceva
di traverso sul letto matrimoniale, priva di sensi. Secondo il narratore,
avvelenata. Da sola? Dal ragazzo fuggito?
“Andiamo fino al limite boschivo, Savio”. Intanto ti
racconterò del perché la parte stupida del popolo austriaco mi chiama
Nestbeschmutzer, sporca-nido. Del perché ho cento paia di scarpe, diverse per
ogni tipo di passeggiata. Del perché ho smesso di tenere delle letture
pubbliche: l’ultima volta, a Bolzano, c’erano solo due paralitici.