Milano – Un derby così brutto (pieno di ripetuti rimpalli, grossolani
errori tecnici) che mi era venuto il cafard
e avevo pensato a Emil Cioran raggiunto nel 1937 dalla telefonata dell’editore
che aveva deciso di non pubblicare Lacrime
e santi.
“Ho fatto la mia fortuna con l’aiuto di Dio, non posso pubblicare il
suo libro.”
“Ma è un libro profondamente religioso.”
“Sarà, comunque non ne voglio sapere.”
“Io devo lasciare il paese, devo andare a Parigi per un mese, non
posso partire in queste condizioni.”
“Non ne dubito, ma il suo libro non lo voglio.”
Così Cioran era andato in un caffè di Braşov
disperato, piuttosto affezionato a Lacrime
e santi perché frutto di una profonda e insonne crisi religiosa si chiedeva
cosa poter fare, nel caffè aveva incontrato un uomo che conosceva poco il quale
vedendolo particolarmente abbattuto gli aveva chiesto il motivo di tanta
tristezza. Ascoltato il lamento dello scrittore, l’uomo aveva concluso:
“Guardi, di professione io faccio il tipografo, anzi lo stampatore. Il
suo libro lo pubblico io.”
Allora Cioran aveva lasciato la Romania maggiormente sollevato, Lacrime e santi era uscito in sua
assenza e aveva avuto una pessima accoglienza, i suoi genitori si erano trovati
in una situazione molto delicata. Sua madre gli aveva scritto a Parigi:
“Io capisco il tuo libro e tutto quanto, ma non avresti dovuto
pubblicarlo prima della nostra morte, hai messo in difficoltà tuo padre che è
un prete e io che sono presidente delle donne ortodosse, in città sono derisa.”
Eppure, essendo stato pubblicato senza editore e non avendo distribuzione,
probabilmente la maggioranza delle copie era andata distrutta. Una cosa
tipicamente balcanica.
Quindi sono tornato all’agghiacciante derby di Milano, ma il cafard non era per niente passato. Dopo
il bel gol d’interno al volo di Jeremy Menez e il tiro strozzato dal limite
angolato di Obi le due squadre cercavano impotenti di fabbricare sul campo
qualcosa di simile al concetto di azione, con i soli risultati apprezzabili di
un clamoroso errore sotto porta di Stephan El Shaarawy che riusciva, solo
davanti al portiere, a scheggiare la parte alta della traversa, e di un
incrocio dei pali inventato da Mauro Icardi con una intelligente, rallentata
girata di destro su cross dalla destra. Milan-Inter terminava uno a uno,
nonostante il nervoso e mistico tentativo al novantesimo di Pippo Inzaghi di
spingere con il piede dall’area tecnica della panchina il pallone in rete,
nella santa speranza che a cinquanta metri di distanza il noioso e poco utile
Poli percepisse telepaticamente il corretto movimento da eseguire per centrare
la porta. Impossibile, fuori. Alla sua prima, seconda volta da nuovo allenatore
dell’Inter Roberto Mancini guadagnava neutro il tunnel degli spogliatoi in
cappotto scuro, sciarpa annodata e pantaloni chiari. Il simpatico difensore del
Milan Adil Rami dichiarava invece con onestà nelle interviste del dopo partita
che lui le partite non le sapeva analizzare perché prima di giocare a calcio
faceva il meccanico, e quando in Francia gli avevano comunicato che avrebbe
fatto il calciatore non ci aveva creduto. Al giudizio finale, verranno pesate
soltanto le lacrime.