Milano – Sarà capitato anche a voi di svegliarvi nella notte per
controllare quanti libri di Beppe Fenoglio avete in libreria. A me è capitato
domenica scorsa e non è la prima volta, certo non sempre per Beppe Fenoglio
altrimenti sarei un imbecille o almeno un individuo dotato di poca memoria.
Comunque ho aperto gli occhi erano le quattro e trentacinque, guardando il buio
soffitto della camera da letto mi sono chiesto:
“Ma io quali romanzi ho letto di Beppe Fenoglio?”
mi sono alzato e ho spiato mia moglie e mio figlio dormienti, era il
caso di svegliarli? Quanti libri avevano letto loro di Beppe Fenoglio? In
soggiorno ho calpestato con lentezza il legno del vecchio parquet per non dare
fastidio a nessuno, ma scricchiolava lo stesso, ho acceso la luce e illuminato I ventitré giorni della città di Alba, La malora, Primavera di bellezza, Il partigiano Johnny, Una questione privata, Diciotto racconti e un pregevole volume
biografico per immagini a cura di Franco Vaccaneo, acquistato nel 2001, che
avevo quasi scordato di possedere. Le opere, i giorni, i luoghi. Uno di quei volumi
che fino a qualche anno fa si potevano trovare in quantità nelle librerie
remainders anche in centro a Milano, prima che il caro affitti, l’esasperato
sviluppo tecnologico e la sconfortante idiozia di un popolo non lettore
portasse molti di quei sacri luoghi alla chiusura. Ho passato un’ora a
sfogliarlo e a rileggerlo, prima di abbandonare l’insonnia partigiana per
guadagnare almeno due ore di sonno in funzione della veglia lavorativa. Di ritorno
dal turno non era cambiato molto a casa Savio a parte gli altri componenti
della famiglia questa volta in piedi ad aspettarmi. Ho girato la chiave nella
serratura e ancora prima di terminare la prima rotazione ho sentito con
chiarezza quella voce conosciuta a un discreto volume:
“Papino! Papino!”
e poi, un passo dentro l’abitazione:
“Giochiamo alle macchinine?”
Ho riposto va bene Pietro, mangio qualcosa e arrivo.
“Ma poi giochiamo alle macchinine?”
“Sicuro.”
“Dai giochiamo alle macchinine?”
“Si può fare, ma perché invece non giochiamo un po’ a Beppe Fenoglio?”
“Cosa?”
“A Beppe Fenoglio.”
“Alle macchinine.”
“A Beppe Fenoglio.”
“Alle macchinine.”
Dopo pranzo, abbiamo giocato alle macchinine. Beppe Fenoglio faceva
l’impiegato in un’azienda vinicola. Per via delle lingue che conosceva gli
avevano affidato l’esportazione. Compilava lettere di accompagnamento per
partite di Vermut e spumanti, lavoro abbastanza noioso tutto sommato ma così
poco impegnativo che, eludendo la sorveglianza dei principali, gli consentiva
di mandare avanti anche quello di scrittore. Tra una pratica e l’altra infatti,
e usando per precauzione la stessa carta intestata della ditta, scriveva interi
capitoli dei suoi libri che a casa riscriveva e rifiniva.
Poi dopo i parcheggi, gli incidenti e i capovolgimenti di automobili
verdi, rosse, blu, gialle e grigie Pietro mi ha chiesto:
“Papà, ma la Uve quanto ha fatto?”
e io:
“Pensa, ha vinto sette a zero.”
“Ah.”