“Scusi sa che ore sono, per
piacere?”
L’uomo senza età, perché eterno
come la sua opera, invece mi risponde che ha fatto una puntatina al cesso, per
toccare con mano il fatto di essere libero e di poter disporre del suo tempo
come preferisce, cioè meditando. Siamo nella toilette di un autogrill sull’A4,
verso Torino, e la mia principale urgenza sarebbe quella di conoscere l’ora per
calcolare, in base alla neve che scende, quali rischi ci siano per l’eventuale
rinvio della partita alla quale dovrei assistere, inviato da me stesso gratis,
mai parola fu più odiosa, ma così va la vita se non sei raccomandato o figlio
di giornalista. Eppure la neve che scende, non me la tassa nessuno, e neppure
l’incontro con Aldo che dopo tre minuti, mi rivela, non spia più i cazzi degli
altri ma i voli delle zanzare, pronto quando vengono a tiro a schiacciarle,
plaff. Infatti sulle piastrelle ci sono i segni di suoi precedenti passaggi,
graffiti neri e strie di sangue, e lui può trascorrere anche tre ore, così.
Potrebbe arrivare anche la
buoncostume e chiedere i documenti, accerchiandoci, sbattendoci sotto il naso
trenta centimetri di pistola prima di frastornarci con stupide domande: cosa ci
fate qui? Perché continuate a fare avanti e indietro?
“Io perché sto andando allo
Juventus Stadium, Aldo perché schiaccia le zanzare”.
Fuori dai bagni ci lasciano liberi, e lo Scrittore mi dice che sta ritornando da un premio letterario che
avrebbe avuto luogo il giorno dopo, dalla fretta di sbrigare un così falso
impegno. Allora visto che non è occupato, lo convinco a salire sulla mia Colt, ma sul
sedile dietro perché davanti ho agganciato l’ovetto di Pietro. Osservandolo
nello specchietto retrovisore, Aldo Busi in smoking e scarpe di vernice nera
tiene un narciso giallo in mano, e sottobraccio tutta la sua produzione, dal Seminario sulla gioventù ad Aaa!.
“Aldo, come fai ad avere un
braccio così lungo da contenere tutta la tua opera? Ma soprattutto, perché sei
vestito così?”
“Sono già pronto per il 7 marzo
2012, quando dovrò presentarmi al tribunale di Monza dove è fissata la prima
udienza dibattimentale del processo che mi vede chiamato a difendermi
dall’accusa di aver leso la reputazione di Miriam Bartolini, in arte Veronica
Lario, ex moglie del Presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi”.
“Ah, strano non ne parli nessuno
quotidiano nazionale, sia cattofascista che cattocomunista. Il minimo che posso
fare dall’alto della mia inutilià, è ospitarti in questo posticipo: biglietto
dello stadio, panino con salamina e birra compresi”.
Dentro l’Arena Juventus, mi
chiedo perché le serpentine riscaldanti posizionate sotto il manto erboso per mantenerlo in
ottime condizione nonostante la bianca precipitazione, non siano state messe
anche sotto i seggiolini bianchi e neri. Busi guarda in direzione del prato
verde, ma percepisco che il suo sublime cervello pensa ad altro, mentre i suoi
occhi sembrano valutare la potenza delle cosce e dei glutei del torello nero
Armero, o il fascino muscolare e femminile di Matri. Quando il numero 32 in
maglia rosa con stella nera si avventa sulla corta respinta di Handanovic alla
bella girata di testa di Quagliarella per spingere il pallone in porta, io mi
alzo in piedi: Goal! Lo Scrittore fa altrettanto, ma precisa:
“Di Veronica Lario non ho mai pensato nulla,
soltanto mi sembra molto strano che una signora che ha recitato, che è stata
nei teatri, che, insomma, non dico colta, ma comunque con un’istruzione
piuttosto vasta, mandi una lettera per una storia di possibili corna o
tradimenti o minorenni, ecc., e non abbia mai detto nulla sul fatto che a casa
Berlusconi c’era un tale Mangano, lo stalliere pluriomicida e mafioso di vaglia
che stava lì e che probabilmente ha preso in braccio i suoi bambini… Allora io
mi sarei svegliata, magari venti anni prima”.
Nel secondo tempo l’Udinese pareggia con Floro
Flores, ma è ancora Matri al sessantaduesimo ad inventarsi dal nulla il diagonale furbo e preciso che fissa il risultato sul 2 a 1.
Dopo che la folla se n’è andata, gelida e contenta,
restiamo per un po’ seduti sui gradini, senza parlare. Un addetto alle pulizie
dell’impianto, interrompe il suo lavoro per chiedere cosa facciamo ancora lì, a
quell’ora.
“Guardiamo la luna”.
Appoggiato con il corpo alla sua scopa, allora si
sporge in avanti, a destra e a sinistra. Poi riprende a spazzare, e
allontanandosi fa:
“Ma se non c’è neanche, la luna”.