domenica 15 novembre 2009

Le telefonate della mia vicina di casa durante il D-Day


Le telefonate della mia vicina di casa arrivano ogni sera puntuali, diciamo verso le diciotto. Le principali trovano all’altro capo del filo sua madre. Il rapporto non è dei migliori. La figlia mi pare chiami solo per una sorta di senso di colpa. Ne farebbe volentieri a meno. Oppure è la madre che telefona, qui dall’altra parte della parete non è sempre chiaro chi squilli o faccia squillare. Un problema da risolvere. In ogni caso, la mia vicina di casa esegue sempre lo stesso tipo di telefonata. Inizio pacato, prime alterazioni vocali, aumento delle medesime sempre meno controllato, esplosione finale di grida furibonde, dettate in parte dalla sordità della madre presumo, in parte da uno squilibrio emotivo della mia vicina di casa, che a mio avviso assume qualche dose di psicofarmaci.
Così capita che mentre sto leggendo, mentre sto guardano uno degli ipnotici programmi di Rai Storia (quel canale quando vuole mi tiene imprigionato) la mia quiete sia invasa da urla prive di connessione logica, almeno per me che ho questa maledetta parete troppo sottile a farmi da argine. E allora mentre gli Alleati stanno sbarcando con epico coraggio in Normandia, dall’appartamento oltre il mio confine giungono grida come: “Il prosciuttooo! Mamma prova col prosciuttoo alloraa!” oppure, solo pochi secondi dopo: “Il neurologooo! Il neurologooo!”.
Mah, mi distraggo e penso esistano neurologi che vendono salumi.
Ma il disperato destino di quei ragazzi sulle spiagge del D-Day, alla fine mi commuove. Quelli delle prime file: folli, ubriachi, pieni di paura e vomitanti, costretti a morire da eroi, pensando solamente alle loro madri, alle loro fidanzate. Vallo a spiegare alla mia vicina.