Ricordando Luciano Bianciardi.
Il mio articolo su "il gabellino", periodico della Fondazione Luciano Bianciardi.
Mi ero trasferito a Milano con l’idea
di trovare il mio personale torracchione, ingenuo cattivo e sentimentale. Da
avvicinare, il torracchione, da guardare con attenzione, da far saltare in
aria. Poi un giorno di settembre avevano tirato giù le Twin Towers, le
dimensioni delle cose erano cambiate, sei mesi dopo un pilota di aereo da
turismo forse imitatore si era schiantato contro il ventiseiesimo piano del
Grattacielo Pirelli, non credo per omaggiare Luciano Bianciardi. Tre morti e
settanta feriti, il sessantasettenne svizzero Luigi Fasulo non era l’originale,
ma solamente un aviatore incapace di gestire in modo adeguato la condotta della
fase finale del volo in presenza di problematiche tecnico-operative e
ambientali, nello specifico il circuitare sull’anello di attesa Ata, il
percorso aereo a forma di ellisse che si
sviluppa lungo la periferia della città, in attesa che il traffico diminuisse consentendogli
così di atterrare come richiesto sulla pista 36R di Linate.
Io nel frattempo corteggiavo la
ragazza che poi sarebbe diventata mia moglie regalandole La vita agra e Vita agra di
un anarchico, la mia ossessione avrebbe sconsigliato al rapporto serio e
duraturo per primo me stesso figuriamoci la candidata, e pure i suoi genitori
ai quali in settimane successive avrei donato per presentarmi La solita zuppa e altre storie,
mostrando fin dal principio del nostro in divenire rapporto parentale il mio lato
meno rassicurante. La prima cena da nuovo fidanzato della figlia a cercare
coincidenze tra futuri suoceri milanesi e la vita meneghina di Bianciardi:
“Ma
siete sicuri di non aver mai sentito parlare dalla pensione in via
Solferino 8, camere in affitto, cesso in corridoio, ottomila lire al mese?
D’accordo. E che mi dite allora di Arcisterco?”
Un metodo come un altro per far
capire ai giustamente preoccupati papà e mamma che la loro bambina sarebbe
stata in buone mani.
Del resto pure io, come Bianciardi,
ero stato assunto da Feltrinelli, anzi romanticamente, e non per esigenze di
copione letterario, mi trovavo solitario nei pressi del lungolago di Sirmione
sul Garda a osservare distratto un cartellone pubblicitario del Grand Hotel a Villa Feltrinelli quando il telefonino era squillato e un
funzionario aziendale mi aveva freddato affermando:
“Signor Savio? Volevo comunicarle che
lei è stato assunto per l’apertura della nuova libreria di Piazza Piemonte!”
E io, dopo una risposta già
professionale di contenuta contentezza,
“Ma come, lei non mi sembra contento…”
“No davvero, mi fa molto piacere è
che sono fatto così.”
avevo chiuso la telefonata ed ero
tornato davanti al cartellone pubblicitario del Grand Hotel a Villa
Feltrinelli per ringraziare qualcosa e pensare di fronte all’acqua,
Ma guarda un po’, se lo racconto o lo
scrivo non ci crede nessuno e pare confezionato, certo adesso c’è questo
inutile albergo di lusso eppure un tempo, in quella villa.
Quindi mi ero trasferito a Milano con
la biografia scritta da Pino Corrias nello zaino, appena uscito di casa per
strada m’investiva il fiato umido delle prime nebbie, ma timbravo il badge in
libreria e posizionavo i volumi in preciso ordine alfabetico con una forma di
gioia a tratti religiosa che avrei mantenuto a sorpresa per quasi quindici
anni, al netto di alcune disavventure fisiologiche dettate da umana noia e
isolate stupidità superiori occasionali, dimenticando almeno in apparenza il torracchione
che avrei dovuto scovare, combattere e far saltare, in parte travolto da un
tempo veloce e dal vento, a mio modo integrato, turista della letteratura? E
cos’era diventata la letteratura in Italia? Fama e successo spesso scambiati
per qualità dalla maggioranza del pubblico lettore peninsulare, confortato nella
circostanza dalle seriali recensioni pilotate periodicamente disponibili sul Quotidiano numero 1 oppure sul Quotidiano numero 2, sdoganatori di
bravure talvolta inventate e per questo culturalmente pericolose. Ah Luciano,
come avresti irriso certi scrittori fotocopiati in serie e poi raccomandati
alle case editrici dalla nota scuola di scrittura, la vanità di quelli sempre
pronti a presenziare sistemici a festival letterari o infiniti reading
strumentali, meglio attaccarsi alla bottiglia di grappa cattiva (però a buon
mercato) e sperare nel ritorno di Garibaldi, o quantomeno di Giuseppe Bandi.
Di nuovo risorgimento però non era il caso
di parlare, nella grande città una piccola camera in affitto da amici in via
Nervesa, poi come tanti prima di me alla ricerca, cinquant’anni dopo, dei
luoghi di Bianciardi durante infinite passeggiate: il bar delle Antille in verità Giamaica, la trattoria delle sorelle Pirovini: Lina, Lena e Cecilia.
Oppure la temibile osteria Fiorino,
ma solo fino alla scoperta dell’eczema della gerente che per questo e non per
eleganza serviva ai tavoli con dei guanti neri, e del marito cuoco uscito dalle
cucine per spiegare, però tutto blu di metilene.
Passeggiare ricordando con attenzione
il consiglio di Bianciardi: meglio attraversare sulle strisce pedonali, ma
tenendomi al margine più vicino alla parte da dove arriva il traffico, per
essere certo, in caso d’investitura automobilistica, di cadere all’interno del
passaggio zebrato, unica certezza per aver diritto almeno al risarcimento
danni. Anche se con le nuove autovetture oggi più in voga, SUV sempre più
grandi dei precedenti appena prodotti, come a voler dimostrare prepotenti di
essere pronti senza incertezze a schiacciarti o sbalzarti lontano ben oltre lo
spazio pedonale, addirittura sul marciapiede, la precauzione suggerita da
Luciano poteva dirsi ormai amaramente sorpassata. L’unica possibile scelta,
dovendo cambiare lato di strada, sarebbe stata quella di una sottile preghiera
prima di rientrare a casa, magari dopo una giornata di lavoro, ritrovando con
gioia e per fortuna una moglie e due figli con cui giocare e poi andare a
dormire aspettando che arrivi il sonno, e almeno per sei ore non esserci più.