Milano
– Sarà che ho sempre preferito andare al parco o in collina piuttosto che in
piazza, niente di personale, anche se devo ammettere che da ragazzo qualche
volta, insieme agli altri dell’istituto tecnico per geometri partecipavamo agli
scioperi pur non con la medesima consapevolezza e preparazione degli studenti
dei licei. Loro ci aspettavano in via Trento, eravamo sempre a noi a doverli
raggiungere partendo a piedi da via Oberdan, e quando ci accoglievano i liceali
lo facevano con una forma di pietà raffinata: ecco sono arrivati i geometri, i
ragionieri. Mi chiedevo se la divisione urbanistica della città, che separava
in due distinti poli scuole umanistiche e tecniche, fosse una precisa scelta
del non sempre rispettato piano regolatore. Poi si partiva tutti insieme
preferibilmente verso piazza della Loggia, ma dopo pochi metri la ragione della
manifestazione veniva sovente dimenticata; i rappresentanti d’istituto di
scientifico e classico, muniti nella circostanza di megafoni e hashish per fare
colpo sulle studentesse più affascinanti, si facevano ancora più belli e
carismatici. Io mi annoiavo anche di certi cori da stadio con la rima baciata e
prendevo per le vie laterali, la rima baciata no.
Nascosto
nel quartiere vecchio mi veniva in mente il giovane Johnny partire in corteo,
preceduto da marmocchi caracollanti e affiancato da carabinieri legnosi e
sudati pronti a difendere i manifestanti da eventuali provocazioni di passanti
non amanti del fascismo. Quindi tutti ammassati sotto il balcone, in attesa che
apparisse il Segretario Politico immerso nel profumo della sua colonia al
tabacco, deciso a gonfiare il suo infelice torace da riformato.
“Cosa
faceva Eden?” “Schifo!” “Il Negus?” “Schifo!” “Cosa facevano i francesi?” “Schifo!”
“Morte al Negus, morte a Eden!”
Ma
il ragazzino Johnny e i suoi amici gridavano invece:
“England
forever! England forever!” “Down with the Duce!” “The Duce is a pig!” “The Duce
is a rascal!” Qualcuno intonava la Marsigliese.
Il
Segretario Politico assentiva e sorrideva.
Così
anche questa volta purtroppo venti anni dopo, sorretto dal lieto vantaggio di
lavorare in libreria, nel sistemare sopra i tavoli e gli scaffali le novità
settimanali (annunciatrici di grandi scrittori italiani contemporanei, quasi tutti
redattori o collaboratori di riviste che nessuno legge parenti esclusi, o
tradotti all’estero in varie lingue o usciti dalla certificata scuola di
scrittura o vincitori e/o almeno candidati al premio), mi sono ritrovato tra le
mani Il libro di Johnny curato da
Gabriele Pedullà e ho lasciato cadere un sospiro, più involontariamente un paio
di alterate fascette editoriali per bisonti. Quanto mancava alla fine del
turno? E uscito dalla libreria, non prima di essere passato alla cassa con il
mio badge aziendale per fortuna scontante le ventotto euro, dove e a che ora
l’appuntamento sotto il balcone per gridare qualcosa di ironicamente contrario
presumibilmente a Matteo Salvini, sconfortante e comico personaggio letterario
che Beppe Fenoglio avrebbe magistralmente descritto come fatto ad esempio con
Juancito, pardon, con il caposquadra Rabino; o come con lo stesso Segretario
Politico affacciato al balcone, proteso in saluto romano per versare benzina
sul fuoco vociferante dei manifestanti?
Verso
il parco, verso la collina più vicina.