Dopo l’ennesimo aumento della
benzina, alla fine la popolazione era esplosa. Adesso Presidente della
Repubblica e del Consiglio ciondolavano
impercettibilmente appesi per i piedi alla pensilina di un distributore di
carburante.
Erano trascorsi pochi mesi
dall’avvento dell’asturiano nella città eterna, ma lo spettacolare atterraggio
di Luis Enrique nel prato del galoppatoio a Villa Borghese a bordo della sua
aeronave spaziale pareva solo un lontano ricordo. Così come l’emozione pallida
di Federico Fellini nello scorgere il disco volante dal Pincio dove si trovava
scendere leggero, prima d’incontrare verso le diciannove lo scrittore Ennio
Flaiano e abbracciarlo, in lacrime.
“Vivremo in un modo nuovo e semplice
Ennio. Avremo una veloce pazienza nel far girare la palla, quasi come il
Barcellona. L’aeronave è un’enorme meraviglia lucente. Gialla come il sole,
rossa come il cuore mio”.
Il Presidente del Consiglio poi
aveva fatto recintare il disco volante, permettendone però la visita mediante pagamento di una tassa a
favore di certe opere assistenziali cattoliche. Il Presidente della Repubblica
invece aveva ricevuto l’asturiano al Quirinale, interrompendo addirittura il
tour promozionale per l’uscita del suo inutile libro, con grande sgomento delle
genti corrotte o rimbambite già pronte ad applaudirlo per strada o nelle
università. Nessuno come gli italiani era abile a volare in soccorso al
vincitore.
La vita dei partiti sembrava
essersi fermata. Ignobili adulatori di ogni schieramento strisciavano ai piedi
del nuovo Premier, e balbettavano il loro assenso a una manovra iniqua,
fingendo di non guardare l’asturiano presente in visita alla Camera dei
deputati, ben sapendo che egli, li osservava tutti.
“L’Osservatore Romano” infine,
nella consueta rubrica “Nostre informazioni”, aveva segnato tra i nomi delle
persone che il Santo Padre aveva accolto in udienza privata anche quello di
Luis Enrique, relegandolo però nell’elenco stilato per ordine d’importanza agli
ultimi posti, si dice perché l’asturiano aveva preteso chiarimenti riguardo al
versamento dell’Ici nelle casse dello Stato.
Il giorno in cui un ignaro
benzinaio aveva esposto senza pensarci troppo il cartello Benzina Verde 1710 euro al Litro, era stato l’inizio della fine. In
un rigurgito d’orgoglio, il popolo aveva smesso di lavorare, smesso di cucinare
e si era diretto verso i luoghi del potere. I deputati presenti (pochi), i ministri
del nuovo Governo, il Presidente del Consiglio e della Repubblica erano stati
giustiziati e trascinati fino al distributore di carburante dove i rivoltosi avevano ritenuto esserci la
pensilina più adatta all’esposizione.
Ma in Italia anche la folla più inferocita, non rinuncia mai alla partita. Per
questo il fiume di persone aveva preso la direzione dello Stadio Olimpico, e
sfondato i tornelli aveva assistito dal vivo al primo incontro di Serie A
trasmesso in 3D: Roma-Juventus.
Sul terreno di gioco, invece
dello spettatore televisivo sembrava Arturo Vidal quello indossante gli
occhialetti tridimensionali quando, al sesto minuto dl primo tempo, ciccava
clamorosamente un’innocua conclusione di De Rossi facendola terminare alle
spalle di Buffon. Ne usciva fuori una bella partita. Una Roma coraggiosamente
schierata con l’esordiente capitano della primavera Viviani a centrocampo,
ribatteva azione dopo azione ai tentativi di rimonta juventina che si
concretizzavano solo al 61’ grazie ad un colpo di testa di Chiellini. Solo un
minuto dopo, Vidal rimetteva nuovamente quei maledetti occhialini senza i quali
era stato uno dei migliori in campo, giusto in tempo per fare fallo a Lamela in
area di rigore. Totti calciava di potenza, ma Buffon respingeva. Il risultato
non sarebbe più cambiato, lasciando agli osservatori la sensazione di un emozionante
pareggio che avrebbe potuto essere anche altro.
Eppure, più forte del rumore
giallorosso, qualcuno alla fine aveva gridato: “A asturiano!...”.
Luis Enrique si era subito voltato
e ancora una volta l’inno della Roma era stato sovrastato da un suono lungo,
straziante, plebeo. L’allenatore asturiano aveva fissato a testa alta la
tribuna Monte Mario, senza riuscire a identificare l’autore del vile gesto
sonoro. Poi una pernacchia ancora più forte, multipla, fragorosa, l’aveva
spinto a volgere di nuovo lo sguardo al solitario contestatore, urlando:
“Italiano: mascalzone!”