Se non fossi stato così bello, non si sarebbe mai parlato di
Philip Roth. Pensavo a questa ottima scusa da snocciolare a me stesso e pure ad
altri in un mondo ironico e parallelo di mia invenzione eppure reale, fatto di
stupidi così andavo sul sicuro. Tanto la Terra è piena di gente che si prende
sul serio, di scrittori che si prendono molto sul serio, di palloni gonfiati,
tipo questo fine settimana che a Milano c’era il lodevole Bookcity festival con
incontri eventi reading ecc., ma io sarei andato solo per ascoltare Gurrado
parlare di Joyce o Busi di se stesso, agendo su me stesso per fare in modo che
l’orsa pigriza e la tendenziale insofferenza alle sagre non finisse col prevalere
come spesso. E invece c’erano pure due belle partite sabato: Juventus-Lazio e
Napoli-Milan e allora ho detto, sto a casa. Tuttalpiù, dopo la mattinata
lavorativa culminata con l’acquisto-premio di Everyman, mi metto a sfogliare il libro nero di Philip Roth mentre
la Juventus attacca e attacca, e la Lazio si difende e si difende. 0-0,
nonostante 18 tiri in porta contro 0 e 11 calci d’angolo contro 1, roba da
matti, ma che macchina da calcio quasi perfetta ha inventato Antonio Conte? e
non ne parla quasi mai nessuno per ignoranza o malafede, più comodo riempire i
giornali con polemiche stucchevoli o accuse inventate. Non mi viene neanche il
nervoso perché quando Marchetti a metà del secondo tempo smanaccia in
controtempo il tiro deviato del migliore in campo Vidal, ho già capito come
andrà a finire: 0-0. Pazienza, mi resta il gioco di una squadra che si muove
con armonia, intelligenza e coraggio e ne discuto amabilmente con Arrigo
Sacchi, raro appassionato di calcio in un paese di guelfi e ghibellini, non con
il telecronista Mediaset che nel presentare la partita aveva affermato: “A
Pescara si è rivista la Juve feroce, la Juve dalla mascella volitiva”. In
diretta dal Ventennio.
Che poi non è che non sopporti del tutto le fiere del libro, ma i reading invece sì. I reading mi ammazzano, specie quelli con l’accompagnamento musicale, quelli mi uccidono. E’ più forte di me, la spettacolarizzazione dell’intimo in chiave pop-rock mi urta, e infatti come dicevo sarei andato a vedere solo Gurrado perché mi aveva assicurato parlando di Joyce non avrebbe suonato la chitarra elettrica, e Busi perché ogni suo one man show è meraviglia in un mondo pseudoculturale che puzza di cadavere ammobiliato.
Che poi non è che non sopporti del tutto le fiere del libro, ma i reading invece sì. I reading mi ammazzano, specie quelli con l’accompagnamento musicale, quelli mi uccidono. E’ più forte di me, la spettacolarizzazione dell’intimo in chiave pop-rock mi urta, e infatti come dicevo sarei andato a vedere solo Gurrado perché mi aveva assicurato parlando di Joyce non avrebbe suonato la chitarra elettrica, e Busi perché ogni suo one man show è meraviglia in un mondo pseudoculturale che puzza di cadavere ammobiliato.
All’inizio di Everyman, tutti intorno alla fossa a tirare
pugni di terra sulla bara e a dire qualcosa del defunto. Il rumore della terra
sul coperchio di cipresso, davvero qualcosa di definitivo. Certi piccoli
scrittori che non parlano mai “male” di quelli commercialmente più grandi
perché magari un giorno potrebbero tornare utili, che noia. Nell’intervallo
della partita, ascolto Radio3 e becco Beppe Severgnini che dal Bookcity
festival dà consigli ai giovani e la cosa mi fa venire voglia di vomitare,
sebbene non stia guidando. Beppe Severgnini, consiglia i giovani. Spengo, mi
diverto molto di più a guardare due partite di pallone, anche se tiri 18 volte
verso la porta e non c’è niente da fare, Juventus-Lazio finisce 0-0 e come dice
Everyman è impossibile rifare la
realtà, bisogna prendere le cose come vengono, tener duro e prendere le cose
come vengono. Non c’è altro sistema.