venerdì 23 settembre 2011

Il posticipo_Juventus-Bologna (Das Schloss: l’agrimensore e Gesù Pirlo)

Ho trascorso molte mattine nel Castello della mia città. Prima arrivavo di fronte alla scuola, guardavo il portone d’ingresso per qualche minuto ma invece che varcarlo preferivo tornare indietro e salire il colle almeno fino al piazzale della locomotiva. Il Castello aveva tre piani, quello che ospitava una vecchia locomotiva di colore nero era il primo, ma volendo uno poteva ascendere verso il secondo, o addirittura il terzo. Ho imparato più in quelle mattine che in tanti anni di presunte lezioni. Dall’alto, m’interrogavo sulla disposizione del verde nella mia città, su come piccole apparissero le cose, nonostante tutti giù in basso si dessero un gran d’affare. Sempre sotto, un campo da calcio una volta in sabbia (oggi sintetico) era circondato da case color panna. Di domenica, quando talvota ugualmente salivo in Castello, apprendevo però molto meno che durante la settimana, per misteriosi motivi, e da quel campo provenivano grida, boati ridotti diretta conseguenza di azioni che terminavano bene o male per quanto riguardava la porta che riuscivo ad osservare, e in modo ignoto, per ciò che riguardava invece la porta che senza dubbio si nascondeva dietro una delle case color panna. Ad un certo punto, stufo di non sapere, scendevo rapidamente dal colle per giungere veloce in pianura, sperando che nel frattempo non accadesse qualcosa d'importante ai fini di risultato, o peggio che l’arbitro non fischiasse meschinamente la fine dell’incontro prima che io potessi giungere a destinazione. Da bordo campo, oltre la rete metallica verde, tutto solitamente proseguiva, però in modo meno emozionante. Davo la colpa agli altri che mi circondavano, alla solitudine osservante che non c’era più, ma nemmeno io ne ero poi convinto fino in fondo.

Queste cose, e altre, mi sono tornate in mente viaggiando in automobile verso Torino, trepidante come in cima al castello per la partita alla quale avrei successivamente assistito, per sicurezza dall’alto del secondo anello. L’emozione che di lì a poco m’avrebbe invaso, sarebbe stata maggiore o minore rispetto alle mie aspettative? Il padrone del Castello, conosciuto con l’enigmatico nome di Gesù Pirlo, avrebbe accettato di ricevermi dopo avermi convocato? O invece sarei stato continuamente ostacolato da burocrati e funzionari?

A digiuno per il lungo viaggio verso il Castello, esausto per la coda all’italiana obbligatoria per passare in centinaia attraverso una porta stretta, stupito per la presenza di bancarelle con prodotti ufficiali circondate da bancarelle vendenti merce contraffatta, imperiture nella loro illegale presenza (forse perché gestite dalla camorra?) avevo la certezza di non essere l’unico agrimensore chiamato a Torino. Cercavo di entrare in confidenza con gli altri invitati nel nuovo Castello per ammirarne il profilo grigio ornato di strisce bianche rosse e verdi, ma la loro ostilità nei miei confronti mi faceva quasi addormentare, proprio quando uno di loro era pronto a fornirmi un piccolo aiuto. Mi risvegliavo oltre il tornello, colpito dalla bellezza di due ragazzine indossanti il completo della Juventus, messe lì presumevo per accogliere noi agrimensori, immediatamente eccitati dall’idea che almeno a uno tra i quarantamila, magari scelto mediante sorteggio, fosse concessa la sublime ipotesi di baciare una delle due belle bianconere.

Invece la rivelazione finale, giunta purtroppo dopo la morte del caro Franz K., autore del Castello, era più semplice: il padrone Gesù Pirlo aveva deciso di convocarci tutti allo “Juventus Schloss” solo per essere lodato, solo per mostrarci l’interezza del suo biblico repertorio. Veroniche e assist, finte e controfinte, lanci illuminanti, tiri prodigiosi e improvvisi da trenta metri che non diventavano goal solo a causa della bravura di un portiere Gillet. Juventus Bologna terminava 1-1, complice la sciocchezza montenegrina di Vucinic nel farsi ammonire e poi espellere, dopo aver segnato. Complice il pareggio del rossoblu Portanova su errori marchiani di De Ceglie e Chiellini, e un arbitraggio così insicuro e incompetente da apparire tristemente quasi, anzi certamente italiano.

E qui, il mio racconto s’interrompe. Dopo un necessario panino con salamina, una birra prima dell’autostrada, finalmente una pipì nascosto dietro una macchina e un albero, mi sono sentito finalmente accolto dagli abitanti del villaggio.

lunedì 19 settembre 2011

Il Posticipo: Napoli-Milan (L’unica cosa sicura è il vento lungo il marciapiede di via Chiatamone)

Pare che Giorgio Bassani scoprì di essere Bassani nell’estate del’44, a Napoli, la sera in cui ebbe il coraggio di uscire dalla sua tana per qualificarsi come “io”, dopo un pomeriggio speso interamente in una stanzetta di pensione riuscendo a scrivere solamente cinque o sei righe. Cosa avrebbe potuto attendersi dal futuro? Non sarebbe mai divenuto un romanziere come Soldati, Moravia, Pratolini, capaci di accumulare centinaia e centinaia di pagine. E allora che fare? Accettare di essere “solamente” un poeta, per giunta preoccupato dalla momentanea assenza di poesie? Limitarsi a passeggiare ubriaco lungo il marciapiede di via Chiatamone?

E’ invece certo che l’anonimo narratore dei Finzi-Contini, ebbe l’impulso di scrivere la storia di Micòl e Alberto, del professor Ermanno e della signora Olga una domenica d’aprile del 1957, durante una gita in compagnia di amici alla necropoli etrusca di Cerveteri, osservando tombe antiche che facevano meno malinconia di quelle nuove, case definitive per morti lontani che era come non fossero mai vissuti.

Con ogni probabilità, se i due si fossero incontrati (Bassani e il narratore), magari per strada lungo il marciapiede di via Chiatamone, il primo si sarebbe risparmiato infelicità e tormenti, il secondo non avrebbe dovuto attendere diciotto anni per iniziare ad esistere, nel prologo di un romanzo meraviglioso fin dalla prima copertina Einaudi: una donna-montagna bianca e azzurra, con capelli neri, davanti ad un probabile cielo rosso, dipinto da Nicolas de Stael. A ben guardare, i colori di Napoli e Milan.

Con questa donna-montagna in testa, affascinante ma così diversa da come ho sempre immaginato Micòl Finzi-Contini, magistrale figura femminile conosciuta la quale è ben difficile innamorarsi di altre ragazze, in altri libri, al termine di una domenica lavorativa per certi versi orrendamente sublime nel separarmi dal mondo come l’antico giardino faceva con i personaggi del romanzo di Bassani, ho scavalcato il muro di cinta, ma invece di Micòl tredicenne pronta a consolarmi per essere stato rimandato in matematica, mi sono ritrovato allo stadio San Paolo per la partita.

Dentro, centomila occhi mi accompagnavano nell’osservare il volo in avanti quasi angelico del rossonero Alberto Aquilani per colpire di testa il perfetto cross di Antonio Cassano. Quindi, aveva inizio una lezione di calcio al pallone che il centravanti uruguagio-napoletano Edinson Cavani aveva l’accortezza di dividere in tre capitoli: al minuto numero tredici, colpendo al volo di collo in diagonale sfruttando l’assist di testa di Maggio. Al trentaseiesimo, fulminando Abbiati con un interno destro a giro sul primo palo dopo che gli addormentati centrocampisti del Milan avevano consentito a Gargano di percorrere settanta metri palla al piede. Al cinquantunesimo, ribattendo in rete di sinistro dall’altezza del dischetto una goffa respinta corta di Alessandro Nesta. Napoli 3, Milan 1.

Alla fine, fuori dallo stadio, saturo del rimorso per non aver avuto il coraggio di baciare Micòl, ma abbastanza soddisfatto per i novanta minuti intervallati da ben quattro goal, mi sono ritrovato barcollante lungo il marciapiede di via Chiatamone, razionalmente disperato dalla frenesia della vita ma tutto sommato quasi sereno scolpito da un vento, il più bello dell’anno dopo un temporale, unica cosa sicura nel suo portare a dissolversi ogni persona e ogni cosa.

lunedì 12 settembre 2011

Il posticipo: Juventus-Parma (Il campionato di Giovanni Drogo)

Fu al quarto “ploc” che decise di andarsene. Molte altre volte era stato solo, ma adesso che si trovava al buio nella sua nuova stanza, la prima da ufficiale, la prima lontana dalla famiglia, era una cosa ben diversa. Seduto sul bordo del letto, incapace di addormentarsi, guardava fuori dalla finestra brillare le stelle, una in particolare, verde, sorprendente nel suo scintillare, prima di sparire. Il tempo di emozionarsi, di chiudere gli occhi verso il non esserci più, ed era arrivato il primo “ploc” d’acqua. Poi un secondo, un terzo. L’idea istintiva di chiamare un soldato che, lanterna alla mano, non aveva risolto l’odioso disturbo, comunicando anzi al tenente Drogo l’ineluttabilità di quel rumore provocato dalla cisterna nascosta dietro una parete. Niente da fare. Al quarto rigurgito, la decisione.
Perché aspettare nella Fortezza che la giovinezza divenisse vecchiaia, che la pigrizia trasformasse la vita in un ripetersi di abitudini? Come evitare che l’attesa lo tramutasse in un militare come gli altri, sorretto dall’unica speranza che, prima o poi e alla faccia di certi sindacalisti riccioli e radical chic e di certi penosi burocrati a capo di leghe e federazioni, il campionato finalmente cominciasse?
L’amico Francesco Vescovi, che una mattina di settembre l’aveva accompagnato a cavallo attraverso campi di granturco e prati dalla città assonnata fino alla cima dell’ultima salita, aveva osservato Giovani cercare con lo sguardo la propria casa, la camera dove aveva sempre vissuto, e intuendo il momento delicato del novello ufficiale aveva estratto dalla tasca un regalo d’addio speciale: il biglietto per Juventus-Parma di domenica 11 settembre 2011.
“Non sei obbligato a stare tutta la vita alla Fortezza Bastiani. Se ti sentissi solo e triste parti, e vai alla partita”.

Al quarto “ploc” in piedi allora, quale occasione migliore per indossare il nuovissimo mantello senza timore di rovinarlo o sporcarlo, come un vestito della festa messo nel giorno giusto. Poi a cavallo verso il Piemonte, verso Torino, con le ali del mantello sventolanti come un bandiera. Così doveva accadere, e questa fuga da quel luogo enigmatico che gli avrebbe rubato il tempo forse era già stabilita dal momento in cui, solo qualche ora prima, Giovanni aveva osservato dal bordo di un pianoro la Fortezza apparirgli per la prima volta, nel greve splendore meridiano.

Parcheggiato il cavallo negli appositi spazi adiacenti al settore rosso 114, ecco il tenente spavaldo e spensierato dentro il nuovo stadio bianco nero giallo rosso e verde, nuovamente solo, ma questa volta felice di esserlo. Giovanni Drogo solo e felice, senza più tempo da aspettare, libero di osservare il genio di un generale-regista con il numero 21 sulle spalle, le avanzate e il primo goal del sergente Lichtsteiner. Quindi la pausa pranzo tra un tempo e l’altro, consumando fino in fondo il cibo conservato dentro la gavetta. Un’aggiustata al cappello per non farlo volare via, per proteggersi dal sole, poi ancora con lo sguardo a scrutare se qualcosa appariva sul deserto verde. E ne accadevano di cose. Un diagonale secco della sentinella tornante Pepe, un improvviso tiro al volo dal limite della guardia cilena Vidal, il quarto pallone in rete accarezzato in ascesa dal tenente Marchisio, il rigore finale del parmense riformato Sebastian Giovinco. Juventus-Parma, 4 a 1. Decisamente un bello spettacolo, in una giornata fondamentale per l’appassionato trasparente con il mantello-bandiera scappato a cavallo.
“Addio Fortezza Bastiani. Non sarò un uomo comune, ma Giovanni Drogo: ufficiale dimissionario, con tutta la vita davanti”.

martedì 6 settembre 2011

Lo scudetto secondo Savio

Mentre ero in ritiro pre-campionato in Val d’Ega, tra Eggen e Obereggen, forse per allenarmi a scrivere meglio la stagione successiva, nella notte tra il 25 e il 26 agosto ho ricevuto la telefonata dell’amico e bravo scrittore Antonio Gurrado, il quale mi ha posto alcune brevi domande per conto di Quasi Rete Gazzetta dello Sport prima di restituirmi all’amato sonno, isola benedetta di una solitudine ad alta quota. Le risposte mi sono giunte in sogno, ed eccole qua (aggiornate ad una settimana prima della chiusura del calciomercato).

1. Chi vince lo scudetto?
Abbiati-Thiago Silva-Ibrahimovic. Chi può vantare una colonna vertebrale migliore? E anche il resto dello scheletro non è niente male, con ossa come Nesta, Van Bommel, Pato, Boateng, e perfino Cassano se dimagrisce. Per questo vedo il Milan nuovamente Campione d’Italia.
2. Chi accede direttamente alla Champions League (ossia le due squadre che evitano i preliminari)?
Seconda piazza per la Lazio, esempio di ottima squadra costruita con intelligenza. A Lotito e Tare l’oscar del mercato per l'operazione Klose/Cissè, comprati con meno dei 9 milioni incassati per Lichtsteiner.
Terza l’Inter, coraggiosa nel seguire l’esempio gestionale della Juventus di Moggi e Giraudo. Vendere il fuoriclasse per rientrare almeno in parte del debito e sperare che qualche promessa o campione acquistato non faccia rimpiangere Samuel Eto’o.
Quarta la Juventus, incapace anche quest’anno di acquistare i tre top player che l’avrebbero avvicinata alle due milanesi. L’inadeguato Marotta si è limitato al solo, sublime Pirlo, il quale però non può bastare, se deve lanciare in profondità Giaccherini. Innesti potenzialmente importanti sono invece Vidal e Vucinic. Conte in panchina un valore aggiunto per grinta e mentalità. Gravi problemi in difesa se non arriverà qualcuno prima della sirena del 31 agosto. Giocare una partita a settimana potrebbe tuttavia rappresentare un vantaggio, come accade nel primo anno di Ranieri.
3. Chi retrocede in B?
Novara, Lecce, Catania.
4. Quale sarà la rivelazione del campionato?
Bojan.
5. Quale sarà la delusione?
Lamela.
6. Chi sarà il capocannoniere?
Matri.
7. Fin dove arriveranno le squadre italiane nelle Coppe Europee?
Napoli, Inter e Udinese (se passa) fuori agli Ottavi. Milan ai Quarti.
In Europa league italiane fuori presto, come al solito, con l’eccezione dell’Udinese declassata dalla Champions che potrebbe fare strada.

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