sabato 30 luglio 2011

Incoraggiando Alfonso

Alfonso Berardinelli non incoraggia il romanzo, io incoraggio la lettura di Alfonso Berardinelli.

“Se solo potessero, gli editori darebbero il nome di romanzo a tutti i libri che pubblicano: sembra ormai che ogni tipo di libro spaventi il lettore: il romanzo no. I libri di storia li leggono solo gli storici. I libri di filosofia li sfogliano solo i filosofi. I poeti non si leggono neppure fra loro. Le scienze sociali interessano poco: di società si parla sui giornali e la prosa sterilizzata dei sociologi respinge il lettore comune”.


Sarebbe potuto bastare questo inizio a convincermi. O certi articoli del critico romano che talvolta emergono luminosi dalle pagine del Foglio. Ma poi ho pensato anche alla comoda possibilità di portami in montagna Gadda, Moravia, Landolfi, La Capria, Parise, Busi, Mari e tanti altri. In un solo libro.

Così metto Berardinelli nel mio zaino, pronto per il Latemar. Probabile che si trovi a suo agio in compagnia delle Ombre bianche, di Due anni senza gloria, del Crollo, del Barile magico, e dell’Ultimo lettore.

sabato 23 luglio 2011

Mare, e Montaigne

Dopo questa, mi ritiro.
Montaigne non è un tipo da spiaggia, Sarah Bakewell invece sì. Per questo, ormai un mese fa, tra nuotate e colpi di racchetta effettuati andando a ripescare (ahimè con esiti altalenanti) stili e movimenti di certi miei tennisti preferiti, ho letto con grande piacere questo libro bianco. Come quei visitatori che giungevano alla tenuta di Montagne mossi per lo più dalla curiosità ma, una volta lì, perdevano la testa, sono caduto in una sorta di trance meditativa, percependo tutt’intorno lo spirito di Montagne come una presenza vivente. Per qualche istante, ho avuto la sensazione di essere lui. Ho pensato ad un colpo di sole, mi sono rifugiato all’ombra della sua torre, in attesa che l’intensità di questa passione svanisse.

venerdì 15 luglio 2011

Inter campione d’Italia, con Malaparte





Ricordo bene l’Inter 2005-2006. Una squadra importante, che grazie a frecce appuntite come Recoba e Martins riusciva a superare diverse volte in novanta minuti la metà campo avversaria, anche quando si scontrava con grandi squadre come la Juventus e il Milan di quel periodo.
Per questo, la dura relazione del procuratore Palazzi mi ha lasciato di stucco: ma come? Anche Giacinto Facchetti, dipendente di Massimo Moratti, telefonava ai designatori arbitrali? Davvero Giacinto invitava Bergamo a passare in sede per ritirare “il regalino”? Quello che era stato un calciatore stupendo, era un dirigente poco corretto?
No, non potevo accettarlo. Queste sotterranee e illegali manovre, quanto influivano sui perfetti movimenti in campo di Santiago Solari e Kily Gonzales? E quanto sul formidabile autogol da quaranta metri di Marco Materazzi a Empoli?

Di colpo certe architetture di splendente limpidezza crollavano. Anche l’Inter allora barava, e lo sventolato scudetto dell’onesta non era niente più che un ridicolo vessillo agitato con la bava alla bocca da una società troppo abituata a perdere, sempre sospettosa che dietro ogni sconfitta non ci fossero inferiorità tecniche e tattiche, ma complotti orchestrati da Luciano Moggi e Adriano Galliani.

Disperato, sono corso in edicola per comperare il Guerin Sportivo. Nella solita bella intervista a un campione del passato, Nicola Calzaretta strappava a Francesco Morini un aneddoto curioso. Nel 1978, il difensore bianconero aveva chiesto al compagno Dino Zoff di intercedere presso Bearzot al fine di essere convocato per i Mondiali argentini. In fondo il biondo stopper era l’unico della retroguardia bianconera del tempo a non essere titolare azzurro. SuperDino però gli aveva risposto:
“Francesco, io non le faccio queste str… e!”.

Sono tornato di casa. Ho finito di leggere il Guerin. Ho osservato in televisione l’aggressività di Moratti nel farsi scudo con il santino di Facchetti pur di non ammettere che anche l’Inter, barava. O che forse nessuno, barava.
Mi sono ricordato di un difensore poco leale e vestito di bianco, candido come le sue provocazioni in campo e fuori, che urlava con altri nerazzurri di vincere, senza rubare.
Del più importante quotidiano sportivo, capace di titolare:
“La sapete l’ultima? La Juventus chiede i danni”.
Di una formazione che faceva: Buffon, Zambrotta, Chiellini, Cannavaro, Thuram, Emerson, Vieira, Camoranesi, Nedved, Trezeguet, Del Piero (Ibrahimovic).

Allora ho pensato a Curzio Malaparte, al suo concetto di malafede come carattere distintivo degli italiani, sempre pronti a servire il potente di turno.
“Il vero, il solo programma di ogni italiano è di essere in buoni rapporti con il partito al potere”.

Ho pensato a Malaparte, a certi scudetti vinti grazie a goal decisivi realizzati con quattro giocatori in fuorigioco. Allo stile di José Mourinho. Al recente arbitraggio della Finale di Coppa Italia Inter-Palermo, terminata com’era meglio che terminasse.
Ho pensato a Malaparte, ho chiuso il Guerin, ho rivisto mentalmente la punizione di Del Piero all’incrocio in Inter-Juventus 1-2, dodici febbraio del 2006, simbolo di un campionato stravinto sul campo.