giovedì 30 giugno 2011

Inter nos



Ancorché juventino, ho partecipato volentieri a “Inter Nos - 23 storie in nero e azzurro”, in questi giorni in libreria.

Per il mio racconto “L’ascesi in rovesciata”, ho pensato all’Inter di un tempo, grande non in senso di risultati ma di sportività, per intenderci quindi quella precedente alla patetica messa in scena di calciopoli, al cartonato scudetto della presunta onestà. Una grandezza mi rendo conto attualmente poco di moda.
L’Inter di mio padre, di mio zio, l’Inter di altri tempi. Ma senza particolari nostalgie. Non ho parlato della squadra di Herrera insomma, o di quella di Trapattoni. Mi sono limitato a tenere l’Inter (e la Juventus) nello zaino, camminando verso la cima del Monte Ventoux, in compagnia di Francesco Petrarca.

domenica 12 giugno 2011

Uruguay-Francia (Perso in una breve vita celeste)

Per resistere alla feroce ingiustizia di un’estate senza Mondiali, torno indietro di un anno, quando in tribuna con Juan Carlos Onetti al mio fianco, ho scoperto la bellezza di una breve vita celeste.




Se i francesi sono gli italiani di cattivo umore, come sosteneva Jean Cocteau, gli uruguagi, che hanno qualcosa da spartire con gli italiani e non solo per aver regalato a Giuseppe Garibaldi l’amore di Ana Maria de Jesus Ribeiro, come si pongono rispetto ai francesi?
Mentre provavo a rispondere a questa peraltro inutile domanda, non ho potuto fare a meno di notare il materializzarsi al mio fianco, sul seggiolino del Green Point Stadium di Città del Capo, di Juan Carlos Onetti, da Montevideo.

“Piacere, sono Juan Maria Brausen, da Santa Maria. Il venerdì di solito mi rinchiudo nella mia stanza e ci rimango fino a lunedì, dedicandomi esclusivamente alla scrittura del mio libro. Ma questa sera c’è la seconda partita dei Mondiali e gioca il mio Uruguay. Due ore di pausa me le posso concedere.”



Perso nella bellezza delle maglie celesti, ho finto di guardare per novanta minuti un match noioso, messo in scena da undici francesi e dai parenti lontani di Ghiggia e Schiaffino. In realtà valutavo le percentuali di follia racchiuse dentro Onetti o Brausen, insomma dentro chiunque fosse la persona che il destino mi aveva assegnato come vicino di posto.

“Ricordo che ero a Buenos Aires, abitavo a calle Independencia 858, e un giorno, mentre stavo uscendo di casa per andare in ufficio, mi piombò dal cielo e la vidi.”
Cosa?
“La storia de La vita breve. Mi misi a scriverla disperatamente.”

D’accordo Juan. Ma tornando alla partita, se la Francia non ha mai battuto l’Uruguay ai Mondiali ci sarà un motivo, e nonostante la cifra tecnica superiore di Ribery e compagni, anche l’incontro di oggi mi pare destinato a non cambiare questa statistica. I transalpini danno l’impressione di autogestirsi, come studenti senza guida impegnati a inventarsi qualche azione per far passare le ore buche. La Celeste non vuole perdere, e per evitarlo si limita a seguire le traiettorie lasciate nel vento dai biondi capelli di Diego Forlan, il capitano.

“Da dove vengo il passato quasi non esiste. Gli abitanti come me di Santa Maria vivono solo nel presente. Mia moglie Gertrudis è stata operata e ha perso un seno, io sono sul punto di essere licenziato. Sto tentando si scrivere una sceneggiatura nella quale inventerò una città e dei personaggi ispirati ai miei conoscenti, ma potrei trasformare quest’idea in un’esistenza immaginaria, senza scrivere nulla, così avrei più tempo per guardarmi in santa pace questi Mondiali sudafricani.”

Nella realtà intanto, tutto converge vero un opaco zero a zero. Un debole colpo di testa di Anelka. Un tiro dalla distanza di Toulalan. Il tentativo del neoentrato Lodeiro di portarsi a casa almeno un pezzo della tibia di Bacary Sagna. Espulso. Uruguay-Francia, zero a zero.
In coda per uscire da questo stadio splendido, navicella bianca atterrata tra l’Oceano Atlantico e Signal Hill, Juan Carlos Onetti respinge a fatica l’idea di aver buttato due ore della sua vita breve:

“La letteratura è mentire bene la verità. Per questo come scrittore uruguagio non può dispiacermi oggi, avere vinto due a zero.”



Mondiali, fase a gironi. Città del Capo, 11 giugno 2010.

domenica 5 giugno 2011

Il mare perché corre



Anche Joan As Police Woman legge la quarta di copertina del nuovo romanzo di un bravo scrittore, finalmente in libreria.


È notte. Due uomini che si sono incontrati per caso viaggiano verso nord. Uno ha 46 anni, l'altro 82. Scoprono di chiamarsi entrambi Piero. Tutt'e due vanno in cerca di un grande amore ma in realtà fuggono: da un morto ammazzato, dal proprio passato, dalla loro sbiadita quotidianità paesana. In una notte e un giorno allucinati, senza sonno e senza sosta, nell'abitacolo dell'auto si incrociano, in un gioco simmetrico, la storia d'amore per Helena, giovanissimo medico bosniaco, e quella speculare per Nela, ebrea sefardita scampata ai lager nazisti e poi rifugiata nel campo di accoglienza di Santa Maria al Bagno, nel Salento, prima di partire per la Palestina. Due racconti, uno antico, l'altro recente, in cui scorrono la storia dello Stato di Israele e la guerra civile in Bosnia, l'assassinio di Marco Biagi a opera delle nuove Brigate Rosse e il terrorismo di Al Qaeda, l'invasione dell'Iraq e la politica imperialistica dell'amministrazione Bush. Un on the road nello spazio e nel tempo, un romanzo d'amore dal sapore noir. Alcune pagine della storia dell'Occidente che si incrociano all'interno di una vecchia automobile e si mescolano alle storie di due uomini qualsiasi alla ricerca di una personale redenzione terrena.